il manifesto 20.1.16
Riforma, tre scenari dopo l’ultimo sì
Costituzione.
Tra referendum, entrata in vigore dell’Italicum e Consulta un rebus
complicato. Dai bersaniani una legge per scegliere i senatori, oggi si
chiude il percorso della revisione costituzionale al senato
Il senato della Repubblica
© Ap
Andrea Fabozzi
ROMA
Dibattito distratto e aula semivuota nell’unica giornata dedicata alla
discussione generale sulla riforma costituzionale, che oggi pomeriggio
sarà approvata in seconda lettura dal senato. Serve la maggioranza
assoluta (almeno 161 voti) e ci sarà, prima di cena perché capigruppo e
presidente Grasso hanno già fissato la scadenza. L’opposizione ha
protestato anche per questo un’ultima volta invano, più attenzione ha
ricevuto il senatore Quagliariello, già ministro e gran sostenitore
delle riforme che ha annunciato che non le voterà — ma si era capito
quando ha lasciato Alfano e ha scoperto l’anti renzismo.
Quello di
oggi è il penultimo passaggio, a metà aprile toccherà alla camera
l’ultimo voto. E a ottobre il referendum. Immaginando un ritorno di
attenzione per l’argomento, sia il centrodestra (Forza Italia, Lega e
Fratelli d’Italia) sia i centristi extra Alfano (Giovanardi, Mauro) sia i
senatori bersaniani (Fornaro, Corsini) hanno prenotato la sala delle
conferenze stampa: i primi due gruppi per presentare differenti comitati
del No, la minoranza Pd invece illustrerà la sua proposta di legge
(ordinaria) «norme per l’elezione del senato della Repubblica». Senato
che però, è uno dei capisaldi della riforma, non sarà elettivo. I
margini di ambiguità sono nelle norme transitorie, dove è stato previsto
che a scegliere i futuri senatori saranno i consiglieri regionali ma
«in conformità» con le indicazioni degli elettori nelle elezioni
regionali. È la mediazione che ha consentito alla minoranza Pd di
rientrare in maggioranza e votare la revisione costituzionale. Ma se una
legge attuativa non sarà approvata entro la legislatura sarà stata una
mediazione inutile. Da qui l’iniziativa dei bersaniani. Che però non
proporrano aut aut e non mettono in discussione il loro sì alla riforma,
e pure al referendum.
Se la maggioranza, grazie all’appoggio dei
senatori di Verdini, raggiungerà di certo la soglia dei 161 voti,
altrettanto certamente resterà lontana dai 214 (due terzi dei
componenti). Ecco perchè per promulgare la riforma bisognerà passare dal
referendum. Da qui alla fine della legislature il quadro istituzionale
cambierà almeno tre volte.
Per i prossimi cinque mesi e mezzo,
fino al 30 giugno, avremo le camere in carica nel pieno delle loro
funzioni — malgrado siano state elette con una legge giudicata
incostituzionale due anni fa dalla Consulta — e una legge elettorale con
la quale si potrebbero rinnovare entrambi i rami (a questo punto in
linea solo teorica), la legge uscita dalla sentenza della Corte:
proporzionale con soglie di sbarramento. Dal primo luglio, quando scadrà
la «clausola di salvaguardia» che fu applicata all’Italicum e fino
all’esito del referendum, dunque prevedibilmente per altri quattro mesi,
una nuova legge elettorale iper maggioritaria per eleggere la camera e
la vecchia proporzionale con sbarramento per il senato. Situazione
destinata a perpetuarsi nel caso di vittoria dei no ai referendum,
ragione per cui l’Italicum si rivelerebbe una legge del tutto
irragionevole. Perché mortifica la rappresentatività — regalando un
super premio in seggi al partito che vince il ballottaggio a prescindere
dalla percentuale raccolta al primo turno — senza poter nemmeno
garantire la formazione di un governo, visto che se la Costituzione non
cambia l’esecutivo dovrà chiedere la fiducia anche al senato eletto con
una legge diversa (senza il premio). Ragione per cui la Corte
costituzionale potrebbe fare il bis del Porcellum e abbattere anche
questa legge: la questione dovrebbe essergli sottoposta per fine anno da
almeno uno dei tanti tribunali dove è stato presentato ricorso.
Se
invece al referendum dovessero vincere i sì, sulla carta avremmo un
nuovo assetto bicamerale con una sola camera elettiva e una legge in
grado di assolvere al compito. Resterebbe il problema del nuovo senato
che per un verso si vorrebbe scelto «in conformità» con le scelte degli
elettori e per un altro sarà affidato agli accordi tra i partiti nei
consigli regionali. Ma potrebbe essere il problema minore, perché la
riforma costituzionale ha introdotto una strada veloce per sottoporre
alla Consulta l’Italicum. Reggerà? In teoria anche la nuova legge
elettorale potrebbe essere corretta in questa legislatura. E in teoria
entro il 2018 ci sarebbe il tempo di approvare regole (più) chiare per
la scelta dei senatori. Ma in pratica quanto a lungo potrebbe resistere
un parlamento (peraltro eletto con una legge illeggittima) in valenza di
una nuova Costituzione che ne cambia i connotati? Soprattutto il
«vecchio» senato, essiccato dalal riforma nella composizione e nelle
funzioni, non diventerà un alibi perfetto per il presidente del
Consiglio interessato a chiudere in anticipo la legislatura?