il manifesto 30.1.16
In tragedia e in farsa, la storia che raddoppia e non conclude
Una
nuova edizione de «Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte», per Editori
Riuniti. Un’analisi del bonapartismo la cui lettura è utile anche per
indagare i fenomeni politici contemporanei. In una nuova edizione
l’opera del 1852
di Francesco Marchianò
Il 18
brumaio di Luigi Bonaparte (Editori Riuniti, pp. 248, euro 18,00) è,
certamente, uno dei testi più originali di Marx nel quale l’analisi
materialistica della storia è connessa a quella politica. In
quest’opera, dedicata agli avvenimenti che dal 1848 al 1851 modificarono
il sistema politico francese e lo fecero transitare da una repubblica
all’impero, dopo il colpo di stato di Luigi Bonaparte, Marx si distinse
per essere un attento studioso delle dinamiche giuridiche, politiche,
economiche e sociali, compiendo una precisa analisi sistemica. Scritto
dal dicembre 1851 al marzo 1852, inizialmente per il settimanale Die
Revolution, edito a New York dall’amico editore Weydemeyer, l’opera subì
diverse vicissitudini e solo nel 1869 comparve ad Amburgo una seconda
edizione europea, dopo che in passato in tentativi di darne diffusione
nel continente erano falliti.
In Italia è da poco comparsa per
Editori Riuniti una nuova edizione affidata alla cura di Michele
Prospero che, in una densa e raffinata introduzione, non solo offre le
necessarie chiavi di lettura per comprendere meglio l’opera, ma ne
attualizza in maniera impeccabile la portata. Ne escono, così, fuori due
testi in uno che è molto fruttuoso leggere insieme.
Il testo di
Marx brilla da diversi punti di vista, non ultimo per lo stile
letterario e la coniazione di alcune frasi rimaste poi celebri, come
quella della storia che si ripete due volte, prima come tragedia, poi
come farsa, con la quale si apre il volume. Oppure per il «cretinismo
parlamentare», malattia diagnostica ai difensori della repubblica che
abusando dei trucchi e delle imboscate in aula non facevano altro che
screditare il parlamento che volevano difendere. L’aspetto essenziale
che caratterizza l’opera, tuttavia, è l’analisi contestuale che indaga
tutti i fattori che intervengono in un cambio di regime o, diremmo oggi
con un lessico più moderno, in una transizione. È cioè la spiegazione di
come la repubblica, non riuscendo a trovare gli ancoraggi necessari al
suo consolidamento nella società francese, produsse come esito il
successo di una leadership personale che portò a un’altra forma di
dominio politico.
Nella lettura compiuta da Marx si colgono
perfettamente le cause di questo passaggio che non sono da attribuire al
magismo del capo, al suo carisma, ma al concatenarsi di elementi
esterni. Come spiega Prospero, «esistono condizioni politiche e sociali
di fondo il cui degrado spiega anche l’emergere di tendenze carismatiche
pronte a sfruttare le fragilità del sistema sottoposto allo stress
della partecipazione politica di milioni di elettori».
Marx mette
in luce tutti gli elementi essenziali che intervengono in questa
dinamica. A cominciare da quelli giuridico-politici, dati dalle
contraddizioni della costituzione, dal carattere limitativo della legge
ordinaria rispetto ai diritti enunciati in essa, dal conflitto
potenziale tra l’assemblea e il presidente della repubblica. In questa
situazione di perenne incertezza veniva meno un elemento essenziale dato
dalla legittimità che richiedeva il sistema, specialmente dopo
l’allargamento del suffragio. Occorreva cioè trovare nel sociale la base
di sostegno del politico.
È ciò che è mancato alla repubblica che
finì per non includere affatto le masse. Anzi, proprio questa
«asimmetria tra forte apparato statale e debolezza della società
civile», secondo Prospero, è l’espressione peculiare del bonapartismo.
Luigi Bonaparte, invece, lungi dal non avere un radicamento sociale, si
manifesta, secondo le parole di Marx, come il rappresentante di «una
classe, anzi della classe più numerosa della società francese, i
contadini piccoli proprietari», una «classe a metà» i cui appartenenti
sono tra loro isolati, ma condividono situazioni di forte miseria che li
mettono contro le altre classi sociali. Non avendo la capacità di far
valere i propri interessi, essi hanno bisogno di farsi rappresentare da
qualcuno che appare loro come un «padrone», «come un potere governativo
illimitato, che li difende dalle altre classi»; ne consegue che
«l’influenza politica del contadino piccolo proprietario trova quindi la
sua ultima espressione nel fatto che il potere esecutivo subordina la
società a se stesso».
L’analisi contenuta nel 18 brumaio rimane
perennemente attuale per indagare i fenomeni politici contemporanei
poiché fornisce tutte le categorie necessarie per comprendere cosa
succede nei momenti di debolezza del sistema politico. Essa può essere
utile anche per interpretare le dinamiche che coinvolgono il nostro
Paese dove il continuo tentativo di riforma della costituzione,
l’incertezza del sistema, la scarsa legittimazione sua e dei suoi
attori, il consolidarsi di interessi e forze private, può sempre
consentire, volendo usare le parole di Marx, «a un personaggio mediocre e
grottesco di fare la parte dell’eroe».