il manifesto 29.1.16
L’Alleanza: «Armatevi di più»
Vertice Nato. Diktat del segretario Stoltenberg ai Paesi europei
di Manlio Dinucci
Il
segretario generale della Nato Jens Stoltenberg avrebbe dovuto
presentare ieri il suo rapporto annuale nella nuova sede di Bruxelles.
Non è però ancora ultimata, perché le spese di costruzione sono
lievitate dai previsti 460 milioni nel 2010 a 1,3 miliardi di euro,
cifra destinata ad aumentare ancora.
Questa opera
atlantico-faraonica, che si prevede di inaugurare nel 2016, è composta
da otto ali, convergenti in una struttura principale, le quali
«rappresentano il consenso e le aspirazioni di pace degli alleati uniti
sotto un tetto in vetro, simbolo della trasparenza della Nato».
«Aspirazioni
di pace e trasparenza» che, assicura Stoltenberg, continuano a
caratterizzare la Nato, la cui più grande responsabilità è
«salvaguardare la libertà e la sicurezza» non solo dei paesi
dell’Alleanza,
ma anche dei suoi partner. Il 2015, purtroppo, ha dimostrato che
«l’insicurezza all’esterno mina la nostra sicurezza all’interno». Ciò a
causa dei «brutali attacchi terroristi alle nostre città», della «crisi
dei rifugiati», delle «reiterate azioni della Russia in Ucraina» e della
sua «espansione militare in Siria e nel Mediterraneo orientale». Si
capovolge in tal modo la realtà, nascondendo che la causa fondamentale
di tutto questo è la serie di guerre condotte nel quadro della strategia
Usa/Nato: Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011,
Siria dal 2013, accompagnate dalla formazione dell’Isis e altri gruppi
terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze
neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra
fredda contro la Russia.
Per «salvaguardare la libertà e la
sicurezza», sottolinea Stoltenberg, la Nato ha preso nel 2015 tutta una
serie di «misure di rassicurazione, sostenute da circa 300 esercitazioni
militari».
Dal rapporto si capisce che questo è solo l’inizio di
un colossale rilancio militare della Nato. Dopo l’attivazione di
«piccoli quartieri generali» in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania,
Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia, viene deciso di «preposizionare
materiale militare nell’Est europeo, così da poter rapidamente
rafforzare, se necessario, gli alleati orientali». Viene deciso allo
stesso tempo di potenziare la «Forza di risposta», aumentata a 40mila
uomini, in particolare della «Forza di punta ad altissima prontezza
operativa» che, come ha dimostrato l’esercitazione Trident Juncture
2015, può essere proiettata in 48 ore «ovunque in qualsiasi momento».
Allo stesso tempo si annunciano ulteriori misure per «rafforzare la
difesa collettiva» verso Sud. La Nato è dunque pronta ad altre guerre in
Medioriente e Nordafrica, a partire dalla Libia.
Il quadro presentato da Stoltenberg riporta in primo piano la questione politica di fondo.
L’articolo
42 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che «la politica
dell’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali
ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione
del Trattato del Nord Atlantico». Poiché sono membri della Alleanza
atlantica 22 dei 28 paesi della Unione europea, è evidente il predominio
della Nato. Inoltre, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita
dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa
collettiva» della Ue, e che «un ruolo più forte dell’Unione in materia
di sicurezza e di difesa contribuirà alla vitalità di un’Alleanza
atlantica rinnovata». Rinnovata sì, ma rigidamente ancorata alla vecchia
gerarchia: il Comandante supremo alleato in Europa è sempre nominato
dal presidente degli Stati uniti e sono in mano agli Usa tutti gli altri
comandi chiave. Gerarchia accettata dalle oligarchie politiche ed
economiche europee che, pur in concorrenza con quelle statunitensi e
anche l’una con l’altra, convergono (pur a differenti livelli) quando si
tratta di difendere l’«ordine mondiale» dominato dall’Occidente.
In
veste di portavoce di Washington, dopo aver annunciato l’azzeramento
dei tagli ai bilanci della difesa, Stoltenberg preme sugli alleati
europei perché destinino alla spesa militare almeno il 2% del pil.
Obiettivo
raggiunto finora, oltre che dagli Usa, da Grecia, Polonia, Gran
Bretagna e Danimarca. L’Italia viene inserita tra gli ultimi, con una
spesa ufficiale per la «difesa» inferiore all’1% del pil, corrispondente
pur sempre a circa 46 milioni di euro al giorno. Ma c’è il trucco.
Spese militari per diversi miliardi, comprese quelle per le «missioni»
all’estero, sono iscritte in altre voci del bilancio. E tutte escono
sempre dalle nostre tasche.