il manifesto 27.1.16
Roma 2024, Giachetti sconfessa il referendum radicale
Olimpiadi. Il vicepresidente della Camera e candidato alle primarie del Pd: «Non firmo»
di Eleonora Martini
ROMA
Il tradimento ad un pezzo importante della propria storia di Radicale,
Roberto Giachetti, al momento unico candidato alle primarie del Pd per
il Campidoglio e tuttora militante del partito di Pannella, lo racconta
ai microfoni di «Un giorno da pecora», su Radio 24: «Io lo trovo
abbastanza singolare — dice — Il referendum a Roma è consultivo, mi
domando come mai non sia stato proposto e fatto prima che si prendesse
la decisione. Dopodiché io non ho nessun problema, raccolgano le firme
per il referendum. Io non firmo perché sono convintissimo della
candidatura di Roma».
E pensare che solo il giorno prima, durante
il lancio ufficiale della raccolta delle prime mille firme per il
referendum Roma 2024 promosso da Radicali italiani e Radicali Roma, Emma
Bonino rispondendo alle domande di un cronista aveva detto: «Mi
sembrerebbe difficile, nella storia politica di Roberto Giachetti,
individuare una qualunque motivazione di diniego al metodo refenderario.
Mi sembrerebbe abbastanza originale un “no” a questo metodo o alla
consultazione popolare».
Con la stessa sicurezza, anche Riccardo
Magi, segretario di Radicali italiani, lo aveva escluso. E così, se non
una rottura con i suoi compagni di sempre, quella del candidato sindaco
preferito di Matteo Renzi è di certo una sconfessione alla battaglia
referendaria sulla candidatura olimpica dell’Italia lanciata dal governo
bipartisan. Una presa di posizione che in ogni caso non cambierà i
rapporti del vicepresidente della Camera con i Radicali anche se,
spiegava il giorno prima Magi, «il nostro apporto a una candidatura di
Giachetti può essere utile se non è automatico e incondizionato».
Ora
però l’amarezza c’è: «All’amico Giachetti voglio ricordare che la
proposta di referendum noi l’abbiamo fatta subito, nell’estate del 2015,
quando l’Aula del Campidoglio si preparava a votare sulla candidatura. E
invece dovrebbe– continua Magi — chiedersi perché non siano state le
istituzioni stesse a promuovere una consultazione popolare prima di
prendere posizione, sull’esempio di città quali Amburgo, Boston, Monaco o
Oslo?».
Per i Radicali, si sa, il referendum è lo strumento
d’eccellenza per la partecipazione democratica: «Per noi questa è
soprattutto l’occasione per aprire un grande dibattito pubblico sui pro e
i contro», aggiunge Magi. Ma l’iter per arrivare al voto, quando
l’iniziativa non è delle istituzioni, è lungo: le prime mille firme che
il comitato promotore sta raccogliendo (anche su referendumroma2024.it)
servono per depositare il quesito in Campidoglio, che nel giro di un
mese dovrà decidere l’ammissibilità. Solo da quel momento i proponenti
avranno trenta giorni per le altre 28 mila firme necessarie. Poi un anno
ancora di attesa.
Ad occhio e croce, se tutto va bene, i romani
hanno tempo fino alla primavera del 2017 per farsi un’idea del rapporto
costi/benefici e per potere esprimere un parere nell’urna. Giusto in
tempo per avvisare il Comitato olimpico internazionale che il 13
settembre 2017 deciderà quale città si aggiudicherà i Giochi 2024.
Nel
merito, i Radicali italiani lo hanno detto chiaramente: nessuna
contrarietà pregiudiziale né alle grandi opere (Bonino per esempio si è
sempre detta favorevole all’Expo) né alle Olimpiadi. «Con il referendum
vogliamo assicurarci un percorso trasparente e benefici certi per la
città».
Però i problemi e le perplessità sono tante. Magi li
elenca, in ordine sparso: «Lo studio di fattibilità promesso a dicembre
2014 “entro due o tre mesi” da Renzi non si è ancora visto; l’Italia ha
appena finito di pagare il mutuo per le opere dei mondiali di calcio del
1990; Montezemolo e Malagò tornano sul luogo del delitto, a Tor
Vergata, dove dovrà sorgere il villaggio olimpico e dove è già previsto
che il consorzio guidato da Caltagirone, grazie ad una concessione
esclusiva, completi la realizzazione del campus universitario» pensato
inizialmente per rendere candidabile la capitale alle Olimpiadi del
2016.
«Una scommessa molto rischiosa», la definiscono i Radicali
italiani nel dossier che accompagna la raccolta firme. «Tra budget
preventivi che sistematicamente esploderanno e opere che non saranno
completate, il rischio è che sia una stangata che si ripercuoterà sulle
tasche dei cittadini per venti o trent’anni». La chiamano la
«maledizione delle Olimpiadi», ma la superstizione non c’entra.