il manifesto 20.1.16
La famiglia mummificata
di Massimo Villone
I
bambini in difficoltà si nascondono dietro mamma e papà. I governi
dietro i presidenti della Repubblica e i giudici di costituzionalità.
Accade per le unioni civili. Una maggioranza malmessa è in affanno. È in
difficoltà lo stesso premier, che più volte ha certificato il problema
come risolto. Evidentemente scambiando l’assertività dei tweet con i
risultati. Partono allora in soccorso commentatori autorevoli e
autorevolissimi. Uguali sì, ma non troppo, simili, certo, ma senza
esagerare. 2Meno male che almeno il Quirinale non conferma i dubbi del
Presidente sul ddl Cirinnà. Ne siamo lieti, anche se la domanda rimane
su chi, come e perché abbia messo in giro quelle voci, e se il Quirinale
ne fosse consapevole.
La politica, alla fine, non vive solo di
dichiarazioni. E qui impatta su una sentenza della Corte costituzionale
(138/2010). Ho già scritto su queste pagine che la Corte non rese un
buon servizio a sé stessa e alla Carta fondamentale. La Corte lesse la
nozione di matrimonio ex art 29 Cost. alla luce del codice civile del
1942. Un testo, dunque, anteriore alla stessa Costituzione, e una
interpretazione storica che calava sul tessuto normativo della Carta una
ingessatura fatale.
Per l’interprete è buona regola dare alle
Costituzioni — testi fatti per durare — una lettura evolutiva, per
adattare la norma alla mutevolezza dei tempi. Se non avesse fatto così
la stessa Corte costituzionale, nel nostro paese avremmo ancora una
diversa sanzione per l’adulterio dell’uomo e quello della donna (sent.
64/1961 e 126/1968). E se non avesse fatto così il legislatore (l.
442/1981) potremmo ancora avere il delitto d’onore, per cui qualcuno
certo troverebbe un fondamento costituzionale.
Altri giudici di
costituzionalità hanno saputo dare al tema delle coppie omosessuali una
lettura molto più aperta, e vicina al sentire di oggi. Basta leggere le
sentenze della Corte Suprema degli Stati uniti, ed in specie l’ultima e
fondamentale (Obergefell v. Hodges, 26 giugno 2015) per cogliere una ben
diversa ampiezza di orizzonti. Eppure, quel paese ha avuto esperienza
anche di leggi fortemente repressive. Le ha superate, con una lettura
della Costituzione in chiave egualitaria, costruita sui diritti
fondamentali di ogni persona.
Oggi in Italia ci si appiglia a una
sentenza del giudice di costituzionalità per dissimulare un problema
politico. È un errore. La stessa Corte costituzionale ha anche affermato
che due persone del medesimo sesso hanno il diritto di formare una
coppia, nella prospettiva di una stabile comunione di vita e di affetti.
A questo punto che si chiami matrimonio o meno non ha importanza.
Perché nell’ambito di quella coppia i diritti delle persone che la
compongono non possono essere definiti dalla qualificazione giuridica
della coppia. Sono diritti delle persone che ne fanno parte, a partire
dalla filiazione. Non si deve misurare una distanza dal matrimonio che
ne renda visibile la differenza. Si deve invece considerare quali siano i
diritti inviolabili dei componenti della coppia come formazione sociale
ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.
Il punto focale non è
dunque sulla qualificazione formale della coppia, ma sui diritti delle
persone che la compongono. La prima non può limitare o negare i secondi.
È assurdo e polveroso il dibattito in corso, dalla stepchild adoption
all’affido più o meno rafforzato. Esprime tutta l’ipocrisia di un
cattolicesimo provinciale che crede di difendere la famiglia attraverso
la sua definizione giuridica. La famiglia si difende — e tutti vogliamo
difenderla — garantendo la qualità della vita di chi ne fa parte. Sono
forti le famiglie dove i giovani possono permettersi di sposarsi,
mettere su casa, avere un lavoro, una decente assistenza sanitaria, una
buona scuola per i figli, una assistenza dignitosa per gli anziani. Sono
deboli le famiglie dove degrado, povertà, fame sono ostacoli
insuperabili.
E dunque Renzi mostri gli attributi, se li ha. Non
lasci il problema in mano a qualcun altro, come usa fare con le
questioni difficili. Se no, vorremmo presentare al ddl Cirinnà un
emendamento sull’orfanezza (secondo il dizionario, condizione di chi è
orfano). Una normetta volta a consentire agli italiani di dichiararsi
orfani: del governo Renzi.