il manifesto 16.1.16
Visco: “Con l’Europa Renzi sbaglia, basta con le richieste di flessibilità”
Serve una strategia: non rivendicazioni spicciole, ma puntare agli investimenti
L’ex
ministro delle Finanze: per creare lavoro non bastano incentivi al Jobs
Act, bisogna rilanciare la crescita. E non vedo misure anti-evasione
intervista di Antonio Sciotto
«Lo
scontro tra il governo italiano e Bruxelles va avanti da tempo, ma ora
sta prendendo una piega pericolosa. Secondo me Renzi può aver ragione
sulla questione dell’oleodotto e delle banche, ma sbaglia sulla
flessibilità: in questo caso mi pare più corretta la posizione di
Junker». Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze e presidente del
Nens, ritiene che il nostro esecutivo abbia sbagliato a impostare i
rapporti con la Ue «fin dal semestre italiano». E oggi, nonostante
quello che ci avrebbe potuto insegnare il caso Tsipras, e dopo numerosi
tira e molla sulla flessibilità, siamo arrivati al conflitto aperto.
Insomma lo scontro con Junker non era inaspettato.
È
una situazione che va avanti da un po’. Va detto che Renzi ha anche il
suo carattere, ma a Bruxelles, dove i rapporti sono almeno in apparenza
più felpati e politically correct, le sue uscite vengono percepite come
atteggiamenti di prepotenza. A parte la forma, comunque, direi che ci
dovremmo muovere in altro modo anche nella sostanza, nella gestione dei
nostri contenuti. Servirebbe un dibattito più pacato, le rivendicazioni
spicciole non sono utili, ci vuole una strategia.
Che tipo di strategia? Il governo in cosa sbaglierebbe?
Renzi
ha delle ragioni, non tanto sulla flessibilità, di cui abbiamo
usufruito, ma su altro: la questione dell’oleodotto nel Mare del Nord,
la vicenda delle banche. Quando era cominciato il semestre italiano, non
bisognava andare a Bruxelles a chiedere flessibilità, ma porre in modo
pacato una discussione su tutta la politica economica della Ue:
contestare l’atteggiamento con cui è stata trattata la Grecia, o, come
fa oggi lo stesso Renzi, ispirarsi all’esempio degli Usa, che hanno
fronteggiato efficacemente la crisi. Al contrario, abbiamo subito quanto
deciso dalla Germania, e questo ha portato tutto il continente a una
doppia recessione. Il ministro Padoan andò a fare il suo giro nelle
cancellerie, come avviene a chi guida il semestre, ma dopo l’incontro
con Schauble disse che c’era «piena identità di vedute tra Italia e
Germania». Sappiamo che non è mai stato così: le linee equivoche non ci
giovano.
La flessibilità poi però è arrivata. Non è merito di Renzi?
È
vero, l’abbiamo ottenuta, ma lì ha ragione Junker: perché è stata una
scelta anche dovuta alla nuova maggioranza che si era creata in Europa, e
noi ne abbiamo beneficiato. Il problema di fondo è che l’Italia deve
sapersi creare delle alleanze, con una strategia: da soli non possiamo
fare la voce grossa, in quanto non abbiamo mai risolto i nostri problemi
di finanza pubblica. Dobbiamo proseguire nel risanamento, serve più
crescita, produttività, riforme strutturali. Poi nel Nord Europa e a
Bruxelles ci sono pregiudizi radicati nei nostri confronti, e spesso non
sono del tutto ingiustificati: siamo visti come bugiardi, inaffidabili,
spendaccioni. Mentre i nostri funzionari quasi si vergognano a
difendere gli interessi nazionali. Perciò serve, da parte del nostro
premier, risolutezza, ma anche prudenza e consapevolezza.
Sulla vicenda delle banche ce la siamo cavata meglio?
In
questo caso ha maggiori responsabilità il governo precedente, che non
avrebbe dovuto accettare la retroattività del bail in. Adesso si sta
tentando quel che si può, ma ricordiamo che il nostro sistema bancario
ha dimostrato grande stabilità quando, nel pieno della crisi
finanziaria, crollavano gli istituti tedeschi, francesi, olandesi. Le
banche coinvolte oggi rappresentano soltanto l’1% dei depositi, e hanno
avuto difficoltà non perché piene di titoli tossici, ma perché erano in
rapporto con le imprese più coinvolte dalla crisi economica, quelle di
provincia, più periferiche. Quando perdi 10 punti di Pil in pochi anni,
può accadere che alcune banche vadano in sofferenza: il problema è che
poi sono state colpite famiglie di piccoli risparmiatori, e c’è stato il
suicidio, il quadro si è drammatizzato con ricadute sociali.
Banca d’Italia e Consob hanno agito bene?
Hanno
responsabilità diverse: la Banca d’Italia sovrintende alla stabilità
del sistema, e mi sembra che l’abbia saputa garantire. Diverso per chi
dovrebbe controllare la trasparenza, che qui mi pare sia mancata.
Come giudica la legge di Stabilità?
Vedo
una miriade di microinterventi, che servono più che altro a creare
consenso presso alcuni settori elettorali. La manovra non è espansiva:
sono tagli di spese e di tasse il cui saldo va quasi a zero. Io avrei
concentrato le risorse sugli investimenti: se riduci le tasse, come
moltiplicatore hai tra lo 0,8 e l’1, mentre se fai gli investimenti
giusti, puoi andare dall’1,5 al 3.
Potrebbe servire firmare i contratti pubblici?
I
prezzi non sono aumentati negli ultimi anni, e siamo stati in regime di
stretta di bilancio: che senso avrebbe dare aumenti salariali ai
dipendenti pubblici? Le priorità sono dove c’è più bisogno: la povertà, e
prima di tutto chi ha perso il lavoro. Ci sono ampi spazi di
miglioramento per gli ammortizzatori sociali.
Gli incentivi alle assunzioni, al Jobs Act, non bastano?
Sono
costati molto, e hanno aiutato a stabilizzare alcuni contratti: ma per
creare nuova occupazione serve la crescita dell’economia. Servono
investimenti.
E la lotta all’evasione? Secondo Renzi funziona.
Io
non vedo nuove misure anti evasione. Nella legge di Stabilità di fine
2014 avevano applicato due sistemi suggeriti dal Rapporto Nens: il
reverse charge e lo split payment, che a detto dello stesso Renzi hanno
funzionato. Noi però avevamo suggerito anche la comunicazione telematica
in automatico, al cliente e all’amministrazione finanziaria, dei dati
contenuti nelle fatture: frutterebbe 40 miliardi in tre anni, agendo
direttamente nella catena dell’Iva. Ma non si è fatto. Per la lotta
all’evasione, ci deve essere una seria volontà politica.