il manifesto 13.1.16
Commissione Ue all’esame cinese
Cina.
Iniziano i negoziati con gli Stati membri per determinare o meno lo
status di «economia di mercato» di Pechino. Dopo 15 anni dall’ingresso
nel Wto al via la discussione nell’Unione. Il Pcc è certo di ottenere un
successo, mentre l’Ue è divisa. Italia compatta e contraria
di Simone Pieranni
Iniziano
oggi i negoziati tra Commissione europea e stati membri circa la
possibilità di riconoscere la Cina come «economia di mercato». Si tratta
di un primo passo di un lungo processo, che dovrà poi essere seguito
con molta attenzione anche dal Parlamento europeo e dai singoli stati.
Un
procedimento tutt’altro che scontato, su cui pesa anche l’ombra del
severo «no» da parte degli Usa, desiderosi che l’Europa mantenga le
tariffe e i dazi nei confronti delle merci cinesi.
Analogamente
alcuni paesi europei, specie l’Italia, sottolineano i rischi di una tale
concessione, su tutti per i settori siderurgico e tessile.
Pechino
dal canto suo risponde in modo sicuro: se l’Unione europea vuole
dimostrare la propria indipendenza da Washington, non può che compiere
una scelta in favore della Cina. Il Partito comunista, del resto,
considera il risultato come una naturale conseguenza dell’entrata del
paese nella comunità economica internazionale. Nel 2001 — infatti — la
Cina entrò nel Wto. Allora si diede per scontato che 15 anni dopo le
condizioni mercantili del paese sarebbero cambiate. Venne così deciso
che al termine dei 15 anni, la Cina avrebbe visto cambiare il proprio
status di Non-Market Economy (Nme). Fino a qui tutti d’accordo.
Oggi,
scaduti i 15 anni, vengono inesorabilmente fuori le differenti
interpretazioni di questa premessa: secondo Pechino sarebbe automatico
il riconoscimento della propria economia come un’«economia di mercato»
(Mes, Market economy status).
Secondo gli Stati uniti e molti
paesi europei le cose non stanno così: la Cina sarebbe ancora un paese
«a forte attrazione mercantilista», ma non si sarebbe ancora sottomessa
totalmente alle regole del mercato. Il fraintendimento si basa sulle
conseguenze che lo status di Mes alla Cina finirebbe per creare nel
mercato mondiale: lo status di economia di mercato, infatti, sancita
dalla investigazioni anti dumping, non permetterebbe a paesi altri di
imporre tariffe compensative a pratiche commerciali considerate
scorrette da parte della Cina. Secondo i detrattori, le politiche di
controllo statale, di sussidi e di bassi costo del lavoro, terrebbero la
Cina fuori dalla comunità di mercato. Ieri, in procinto della
discussione che dovrà iniziare in sede di Unione europea, proprio gli
eurodeputati italiani hanno espresso la propria opinione contraria.
Una
riunione trasversale, convocata da David Borrelli, europarlamentare M5s
e copresidente gruppo Efdd, ha raccolto esponenti degli altri gruppi
come Salvatore Cicu (Fi-Ppe), Nicola Danti e Alessia Mosca
(Pd-S&D), compatti nel dire che l’eventuale riconoscimento da
parte della Ue di questo status avrebbe un impatto devastante per tutta
l’economia europea, e in particolare per settori strategici del sistema
Italia, come quello dell’acciaio, della meccanica, della chimica, della
ceramica.
Secondo studi indipendenti presentati all’incontro, si
andrebbe incontro a un calo del Pil Ue tra l’1 e il 2 per cento, e una
drammatica perdita di posti di lavoro, tra 1,7 e i 3,5 milioni, meno
415mila solo in Italia. Posizione sottolineata anche dal gruppo dei
socialisti: «La concessione automatica dello status di economia di
mercato alla Cina sarebbe prematura» ha specificato il presidente del
gruppo. «Data l’attuale situazione economica in tutto il mondo — osserva
Pittella — chiediamo alla Commissione europea di procedere ad una
valutazione completa e formale dell’impatto prima di prendere qualsiasi
decisione in merito».
I cinesi dal canto loro contano soprattutto
sul parere positivo di Gran Bretagna e Germania (più forte il primo
sostegno del secondo) e nei resoconti dei quotidiani cinesi viene citato
un lavoro interno al Parlamento europeo (One year to go: The debate
over China’s market economy status heats up) che analizza i pro e i
contro di un eventuale status di economia di mercato.
Si tratta di
uno studio in cui gli elementi positivi e quelli potenzialmente
negativi sembrano bilanciarsi. Fatta la tara, naturalmente, al fatto che
i sussidi statali non sono una prerogativa cinese, come Pechino
sottolinea in ogni occasione di questo genere.