il manifesto 13.1.16
Fassina, Bertinotti, l’attrazione fatale dell’antiulivismo postumo
Sinistra. Il centrosinistra è morto, l’Europa è inemendabile: la via dell’ex Pd incrocia quella del padre di tutte le rotture
di Daniela Preziosi
Era
ovvio, persino naturale, che Fausto Bertinotti e Stefano Fassina a un
certo punto si incontrassero — politicamente parlando — «quasi senza
avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendìo». Il pendio, cioè
piano inclinato, è la critica di Bertinotti al centrosinistra: tutti i
centrosinistra cui pure ha partecipato, Desistenza Ulivo Unione, lui
salva solo quello «nascente» di Fanfani anni 60. Su questo pendìo l’ex
presidente della camera è attestato dal 2009 e invece l’ex viceministro
di Letta arriva in questi mesi.
L’occasione, lunedì alla
Fondazione Basso di Roma, è stata la presentazione del numero della
rivista Alternative per il socialismo, lettura sempre bella (struggente
la copertina con il murale di Pao cancellato da alcuni zelanti milanesi
nel maggio scorso). Che con tempismo ha una prefazione titolata «La
rinascita della sinistra è in alternativa all’ulivismo». Titolo
volutamente divisivo, spiega Alfonso Gianni: sul tema la sinistra si
spacca dal ’98 a queste ore. L’assunto infatti non è recente, fin qui
non ha prodotto la rinascita, ma gli autori pur essendo stati a vario
titolo coinvolti nella coalizione, oggi fanno ammenda e sono a vario
titolo coinvolti nel tentativo opposto, ammette Bia Sarasini. O almeno
danno buoni consigli.
La tesi è nota: la socialdemocrazia ha
fallito anzi ha partecipato alla costruzione di un’Europa liberista e
autoritaria; chi a sinistra aspira alla riedizione della
socialdemocrazia o (tradotto in italiano) dell’alleanza di
centrosinistra è destinato a perdere e a perdersi. La novità è che
Bertinotti, in quest’ultima fase ripensatore solitario, oggi offre la
sua teoria alla nascente (forse) Cosa rossa: «L’Ulivo ha espresso la
cultura rispetto alla quale la sinistra politica di domani dovrebbe
porsi come alternativa. Se no perché esistere?».
L’interrogativo
spacca Sel-Sinistra italiana che in queste ore si apre come una noce di
cocco fra chi romperà con il Pd già alle amministrative e chi invece
prevede l’irrilevanza e dunque gli resterà alleato. Fassina, candidato
sindaco a Roma, è del primo gruppo: «Archiviare la cultura coalizionale
sarebbe un errore», dice, ma è un’ammissione di scuola perché, spiega,
il renzismo non è un accidente della storia del suo ex partito: sin
dalla fondazione il Pd ha non «il segno costituzionale di Pietro
Scoppola» ma «quello plebiscitario del Lingotto e di Veltroni». Italicum
o no, è molto difficile immaginare per il futuro un’alleanza con un
partito postdemocratico e cioè autoritario e plebiscitario.
Bertinotti
lo segue quindi lo scavalca rilanciando: se Renzi è considerato il
campione dell’orrenda «disintermediazione», in verità è stata la
politica del centrosinistra «di cui Renzi è erede e becchino, il primo
fattore della distruzione dei corpi intermedi». Fassina, che ha già
seguito Bertinotti nella critica alla coalizione, a sua volta lo
riscavalca a sinistra ricordando che «nell’immaginario collettivo
l’Ulivo è l’euro», e cioè «un errore storico»: «i trattati europei
fondati sulla svalutazione del lavoro sono in contraddizione con la
nostra Costituzione»; quindi «con l’euro un’altra Europa non è
possibile» (tesi già condivisa con Varoufakis, Lafontaine e Melenchon
che presto sarà rilanciata a Berlino). Bertinotti sull’euro non sarebbe
così drastico, ma a sua volta sul processo non è meno apocalittico:
«L’Europa può crollare, dall’interno è irriformabile». La sentenza
finale dei due è la stessa: il centrosinistra è morto. E però ora che le
alleanze sono bandite bisognerà trovare il modo per arruolare «i
cattolici» (Bertinotti) e il popolo della «dottrina sociale della
Chiesa» (Fassina), considerati interlocutori indispensabili delle
«casematte extramercantili» (Bertinotti) o delle «comunità
prefigurative» (Fassina) dove si praticano rapporti sociali ed economici
liberati dal liberismo. Procedendo su questa via si tornerà alla
politica, è l’orizzonte non immediato dell’ex presidente. Meno scontato,
ma auspicabile, è che per la stessa strada, ma un po’ prima, si
incontri il consenso per il Campidoglio: che è quello che per
l’immediato Fassina ha giurato di voler fare.