Corriere La Lettura 24.1.16
Innovatori inaspettati
Spesso
 grandi scoperte non nascono da tecnologie sofisticate, ma da intuizioni
 semplici o dall’incrocio di fattori complessi, se non proprio dal caso
Il mutamento è quindi imprevedibile Quali invenzioni del Novecento hanno contribuito maggiormente a cambiare la nostra vita?
di Antonio Carioti
L’innovazione
 non è necessariamente sinonimo di alta tecnologia. A volte serve di più
 il senso pratico, come nel caso di Mikhail Kalashnikov, soldato russo 
cui si deve il progetto dell’omonimo fucile mitragliatore, un’arma non 
troppo sofisticata, ma di enorme successo perché facile da usare e da 
pulire, «resistente alle condizioni più estreme». In altri casi 
soluzioni piuttosto semplici incontrano felicemente un’esigenza sociale 
diffusa: così è avvenuto, nel campo dell’ascolto di musica, per 
l’audiocassetta e poi per il walkman. Succede inoltre che l’uomo imiti 
proficuamente la natura, com’è accaduto per il filo spinato, realizzato 
prendendo a modello arbusti spinosi, ma anche per la produzione di carta
 dal legno sull’esempio delle vespe, o per i semi alati di una pianta 
asiatica che ispirarono l’invenzione dell’aliante.
Insomma, le vie
 dell’innovazione sono infinite. Anche perché, avverte Massimiano Bucchi
 nel libro d’imminente uscita Per un pugno di idee (Bompiani), si tratta
 di un fenomeno «complesso e non lineare», nel quale entrano in gioco 
molteplici fattori socio-culturali con ricadute spesso inaspettate, a 
volte tragiche. Si pensi all’ebreo tedesco Fritz Haber, il chimico che 
con la sintesi dell’ammoniaca diede grande impulso alla produzione dei 
fertilizzanti come degli esplosivi, per poi creare l’insetticida da cui 
sarebbe derivato il gas letale Zyklon B, usato dai nazisti per 
sterminare il suo popolo.
Nel libro vi sono anche esempi di 
innovatori che rinnegarono i risultati delle loro fatiche. Ma lo scopo 
dell’autore non è spaventarci, né invocare il principio di precauzione. 
Semmai Bucchi intende sfatare la retorica per cui un luminoso progresso 
sarebbe sempre garantito a fronte d’investimenti nei settori giusti. 
Svolte incisive sono state spesso determinate, magari per curiose 
combinazioni, da personaggi oscuri, su cui nessuno avrebbe scommesso il 
becco d’un quattrino. E che non di rado si proponevano intenti difformi 
dagli esiti poi raggiunti. Tanto per dire, il primo videogioco, Tennis 
for Two, venne installato nel 1958 dal fisico William Alfred Higinbotham
 per attrarre visitatori nel laboratorio presso cui lavorava a New York.
Non
 è nemmeno detto che nei prossimi anni ci attendano chissà quali 
prodigi: c’è chi sostiene che il ritmo dell’innovazione vada 
rallentando, mentre altri sono convinti che proceda per ondate 
improvvise, attraverso cambi di paradigma assolutamente imprevedibili.
Un
 altro motivo d’interesse del lavoro di Bucchi consiste nell’ampiezza 
della ricognizione, che svaria un po’ ovunque. Rievoca sintesi vincenti 
di conoscenze già disponibili, come la classificazione delle nuvole o la
 tavola periodica degli elementi; oggetti d’uso comune, tipo la 
forchetta, la caffettiera, la bici, la tastiera per scrivere; ma cita 
anche i telefilm del tenente Colombo, il salto alla Fosbury, i fumetti 
dell’Uomo Ragno. Spicca tra i protagonisti il belga Paul Otlet, una 
sorta di veggente laico che immaginò e avviò una rete globale 
interattiva del sapere a fine Ottocento, quando il web era ben di là da 
venire. Che dire poi dei tecnici telefonici che scoprirono per caso la 
prova sperimentale della teoria del Big Bang?
Siamo su un terreno 
ricco di sfaccettature, che si presta a discussioni senza fine. Fra 
tante innovazioni, nei più diversi comparti della creatività umana, 
sorge spontanea la domanda su quali abbiano avuto un maggiore impatto. 
Una questione che abbiamo posto ad alcune firme della «Lettura», nei 
campi di rispettiva competenza, limitando l’orizzonte temporale al XX 
secolo. Trovate le risposte nella pagina a fianco: contributi che si 
affiancano alla rassegna di Bucchi per offrire ulteriori spunti di 
riflessione.
 
