Corriere La Lettura 24.1.16
Sono Prometeo, Ulisse e Faust gli ispiratori dell’Europa
Secondo
Cavalli e Martinelli la razionalità e l’individualismo sono i due
valori portanti della costruzione comunitaria. Oggi minacciati dal
terrorismo e dai risorgenti egoismi nazionali
di Maurizio Ferrara
La
cosiddetta generazione Erasmus è la più europeizzata della storia.
Nulla incide così direttamente sulla formazione di un giovane come
un’esperienza vissuta in un altro Paese, insieme a studenti di molte
nazionalità. È proprio pensando ai millennials erasmiani che Alessandro
Cavalli e Alberto Martinelli hanno scritto La società europea (Il
Mulino), che può essere letto anche come un manuale per accrescere e
organizzare le conoscenze sull’Europa, nonché per sviluppare la piena
consapevolezza di appartenere a una cultura e a una comunità politica
più ampia e ricca di quella nazionale. Il libro è, in realtà, molto più
di un manuale. Non descrive soltanto: interpreta, riflette e fa
riflettere. Poggia sulla migliore letteratura accademica, fornisce
descrizioni fattuali e spunti analitici preziosi anche per gli addetti
ai lavori. Insomma, è un libro importante, frutto di un lavoro
decennale, destinato a restare.
I dodici capitoli analizzano vari
aspetti della società europea: dalle religioni alle città, dal welfare
alle istituzioni politiche, dalle lingue alle università. Ciascun
aspetto viene illustrato prima in prospettiva storica, poi nelle sue
articolazioni contemporanee e infine nel ruolo che esso ha giocato nel
processo di integrazione. Alla fine di ciascun capitolo, al lettore
restano due impressioni: il grande spessore del panorama europeo, ma
anche la sua grande diversità. Un pluralismo «denso» di valori, pratiche
sociali, strutture economiche, istituzioni politiche. Questo embarras
de richesse è quasi inebriante, ma fa anche sorgere due domande:
ricchezza e diversità non costituiscono un impedimento per
l’integrazione? E, prima ancora, è possibile identificare che cosa è,
quintessenzialmente, «europeo», al di là del pluralismo?
Che gli
autori abbiano una risposta si intuisce dal titolo: La società europea
al singolare, non al plurale. Per Cavalli e Martinelli, gli elementi
caratterizzanti della cultura europea sono essenzialmente due: il
razionalismo e l’individualismo (o soggettività). Il primo si esprime
attraverso l’incessante ricerca di conoscenza, guidata dal pensiero
critico. Nata nell’antica Grecia, la mentalità razionale si è
approfondita e articolata durante la modernità, in particolare grazie
all’Illuminismo. Il Prometeo liberato (Shelley), il Faust di Goethe e,
prima ancora, l’Ulisse dantesco sono i personaggi simbolo di questo
ethos (la ricerca del sapere e del nuovo come «virtude»), che ha dato
frutti straordinari nel campo dell’arte, dell’architettura, della
filosofia, della scienza. E che ha fornito la cornice di senso entro cui
hanno potuto svilupparsi l’economia di mercato e il capitalismo.
Prometeo,
Ulisse e Faust simboleggiano bene anche il secondo tratto: la fiducia
nell’individuo, la promozione della sua autonomia, la concezione per cui
ciascuno è artefice del suo destino e perciò responsabile delle sue
scelte e azioni. L’ ethos individualista è alla base dei principi di
libertà ed eguaglianza affermati dal giusnaturalismo e dal pensiero
liberale. Al quale si devono non solo la elaborazione e la concreta
realizzazione della nozione di cittadinanza, ma anche l’impulso a
conciliare il valore della libertà e quello dell’eguaglianza (accentuato
soprattutto dalla tradizione socialista). Democrazia e welfare state
sono le incarnazioni paradigmatiche di questa conciliazione. La prova
provata che libertà ed eguaglianza sono complementari, anche se il loro
rapporto va continuamente calibrato in base alle trasformazioni sociali.
Razionalità
e individualità sono naturalmente due valori cornice: definiscono le
coordinate generali di uno spazio culturale in cui tali valori si
combinano concretamente in mille forme. Chi abita questo spazio deve
osservare una regola di condotta che è condizione del pluralismo: la
tolleranza, l’apertura verso posizioni diverse, l’inclusione dell’altro
(per dirla con Jürgen Habermas).
Cavalli e Martinelli riconoscono
(anzi sottolineano) che la storia europea ha prodotto anche tanti
«mostri»: pensiamo, per tutti, alla Shoah. L’affermazione della cornice
razionale e individualista non ha seguito una traiettoria lineare ed è
stata accompagnata da tremendi conflitti. Possiamo però dire che, per
prove ed errori, la cultura europea sia riuscita di volta in volta ad
«apprendere» e selezionare le soluzioni sociali e istituzionali più
amichevoli verso il proprio ethos di base.
Che dire della
religione? Quale ruolo e che peso assegnare alla tradizione
giudaico-cristiana nel processo che ha plasmato l’identità europea? Gli
autori propendono per una risposta «dialettica». Il cristianesimo ha
influenzato profondamente la cultura e le istituzioni del nostro
continente durante i secoli. Nella visione cristiana, l’uomo ha un
rapporto diretto con il Dio trascendente. Insieme al diritto romano, il
pensiero cristiano ha contribuito ad avvalorare il concetto di persona,
ad abbinarlo con quello di dignità. Ma al tempo stesso la Chiesa ha teso
a contrastare l’affermazione dell’ ethos razionalista e individualista,
assumendo in alcuni momenti posizioni fortemente antimoderne. La
separazione del potere spirituale da quello temporale è stata un
processo lento e faticoso, così come l’affrancamento dei fedeli dalla
soggezione gerarchica rispetto a dogmi che riguardano anche la sfera
secolare e privata. Il cristianesimo ha giocato dunque sia un ruolo
costruttivo sia un ruolo dialettico in seno alla cultura europea. Nel
senso che è stata spesso considerata come polarità dalla quale
distanziarsi.
Ma veniamo all’integrazione. Gli autori non hanno
dubbi: l’unificazione europea è un progetto autenticamente moderno ed è
nata dalle dure lezioni della prima metà del Novecento. Gli europei sono
usciti traumatizzati dal «mostro» della guerra e, proprio come Ulisse,
si sono legati le mani per perseguire un progetto mai tentato prima: la
costruzione di una associazione politica plurinazionale (una demoicracy ,
da d emoi , «popoli», secondo la felice espressione di Kalypso
Nicolaidis) non attraverso mezzi coercitivi, ma attraverso la legge. La
Ue è nata come comunità di mercato e si è a poco a poco trasformata in
una comunità giuridica con finalità politiche. L’elemento straordinario
di questo processo è stato proprio l’uso politico della diversità per
«accomunare», facendo leva sull’ ethos razionalista e individualista,
sulla tolleranza e sul mutuo riconoscimento.
Gli autori non sono
certo ingenui e sono ben consapevoli dei rischi di questo progetto,
diventati molto evidenti sulla scia della crisi. La cornice valoriale
che contraddistingue l’identità europea è emotivamente «fredda», basata
più sul calcolo utilitario (anche se temperato dai principi di
reciprocità) che non sulle passioni. Oggi siamo di fronte a due sfide
gigantesche che mettono a dura prova il nostro modello: l’immigrazione e
il terrorismo legato al fondamentalismo islamico. La Ue è a un bivio.
La paura e le passioni spingono i demoi del continente a ripiegarsi su
se stessi, resuscitando miti e simboli nazionalisti. L’ ethos razionale
spinge invece verso l’ulteriore integrazione: sia come strumento per
gestire meglio le due sfide, sia per difendere i valori universalistici
che gli europei hanno inventato. La responsabilità che incombe sui
leader della Ue (come capi di governi nazionali e insieme co-registi
dell’integrazione) non potrebbe essere più grande e gravida di
conseguenze che interessano i destini politici di tutta l’umanità.