Corriere La Lettura 17.1.16
Tzvetan Todorov
Certi demoni ci fanno somigliare ai cattivi
Terrorizzare i terroristi è diventare come loro
di Stefano Montefiori
Nel
Pantheon di Tzvetan Todorov ci sono resistenti che si sono opposti al
male cercando di non lasciarsi contaminare: Etty Hillesum, la scrittrice
ebrea morta ad Auschwitz, e la combattente francese antinazista
Germaine Tillion, Boris Pasternak, Aleksandr Solzhenitsyn, Nelson
Mandela. «Il nemico è anche interiore, i nostri demoni ci spingono ad
assomigliare all’avversario per combatterlo meglio. Ma terrorizzare i
terroristi significa diventare come loro», dice Todorov, che nella
Francia ferita dagli attentati si mostra scettico sulla guerra contro lo
Stato islamico e sulle misure di emergenza proposte dal governo.
«Confrontarci con il passato aiuta a riflettere sul presente», esorta
Todorov nell’avvertenza iniziale del suo saggio Resistenti , che esce
ora in Italia per Garzanti.
Il premier Manuel Valls, a proposito
del terrorismo, dice che «spiegare è già un po’ giustificare». Il clima
non sembra tanto favorevole alla riflessione.
«Lo choc nella
popolazione è legittimo. Ma cambiare la Costituzione in queste
circostanze, come vogliono fare il presidente Hollande e il premier
Valls, non mi sembra una grande idea, sarebbe più saggio aspettare tempi
più calmi. La duplice reazione del governo mi pare un po’ problematica.
Da un lato bombardare più duramente i mandanti degli attentati, cioè lo
Stato islamico; dall’altro marchiare di infamia il gruppo sociale dal
quale vengono gli esecutori, ossia i francesi nati in Francia ma
originari dei Paesi arabi, i giovani binazionali male integrati. Nel
progetto del governo, i cittadini con doppio passaporto potranno perdere
la nazionalità francese, a differenza degli altri. Non penso che
miglioreremo la loro situazione dichiarandoli dei cittadini di status
inferiore, come fece il regime di Vichy con gli ebrei, cittadini che
scoprirono a un tratto di essere un po’ meno cittadini degli altri. È
legittimo cercare di proteggere la popolazione il più possibile. Ma non
penso che sia inevitabile farlo sposando le tesi del Front national».
All’inizio
del libro lei parla delle motivazioni che l’hanno spinta a scrivere e
quindi della sua giovinezza in Bulgaria, dove la politica pretendeva di
agire in base a principi morali.
«In realtà esisteva solo la
politica, che si rivestiva di una maschera morale, fatta di ideali
sublimi. La delusione e i danni sono stati gravissimi, perché il
socialismo reale è stato una scuola di nichilismo, più ancora che di
dogmatismo e fanatismo. Non credevamo a quelle bugie. C’era una tale
differenza tra le parole e le azioni che il comunismo ha aperto la
strada al cinismo, al rifiuto di aderire a qualsiasi valore. L’attuale
no dei Paesi dell’Est europeo all’accoglienza verso i rifugiati ne è una
lontana conseguenza. Quando la cancelliera Merkel dice che accoglierà
tutti i migranti, subito la gente pensa a ragioni nascoste e indicibili.
Vedere profanati gli ideali di pace, giustizia, fraternità durante
l’epoca sovietica è servito da antidoto, da educazione negativa contro
ogni tipo di idealismo».
Perché come primo personaggio della sua galleria di resistenti ha scelto Etty Hillesum?
«È
una figura estrema, diversa da tutte le altre. Etty Hillesum,
assistente nel campo di transito olandese di Westerbork, rifiuta
qualsiasi atto politico e adotta un atteggiamento solo spirituale e
morale, vive un’intensa esperienza interiore. Per lei la resistenza non
può essere violenta perché la violenza stessa e l’odio sono i veri
nemici. Solo alla fine si renderà conto che è impossibile separare in
modo impermeabile la sua vita interiore dalla realtà, e auspica il
bombardamento delle linee ferroviarie per interrompere il traffico
infernale verso Auschwitz e gli altri lager nazisti. Hillesum è una
specie di santa contemporanea, la sua resistenza è solo spirituale, non
vuole essere raggiunta dall’odio che soffia sull’intera Europa. Resta
inondata d’amore anche nelle peggiori circostanze».
Germaine Tillion invece combatte nella Resistenza francese.
«Ma
è sensibile alla necessità di non demonizzare il nemico, di capire che
anche il nemico è umano. Durante la Guerra d’Algeria, Germaine Tillion
individuerà somiglianze imbarazzanti tra il comportamento delle autorità
francesi in Algeria e quello dei tedeschi durante l’occupazione».
Dove si trova questo sforzo di comprensione in Malcolm X, così duro contro il potere dei bianchi americani?
«Malcolm
X è quasi sempre rimasto in una prospettiva politica, ma verso la fine
della sua vita ha scoperto una visione morale, che consiste nel
riconoscere una certa dignità anche ai nemici che si combattono.
Paradossalmente questo cambiamento avviene in occasione del suo viaggio
alla Mecca, è grazie all’islam che Malcolm X scopre l’umanità
dell’altro. Il che può parere molto strano oggi che tendiamo a vedere
l’islam esclusivamente come fonte della radicalità, della
disumanizzazione ed esclusione dei “miscredenti”».
Chi sceglie tra Pasternak e Solzhenitsyn?
«Ammiro
entrambi anche se sono molto diversi. Pasternak sceglie di non
ingaggiare un combattimento sul terreno politico e pubblico, conduce la
lotta in modo individuale. Da una parte scrive con enorme libertà
interiore, come se abitasse in Russia e non in Unione Sovietica.
Dall’altra vive in modo onesto, ed è pronto a intervenire per esprimere
la sua solidarietà a figure perseguitate come Bulgakov. In L’epoca e i
lupi Nadežda Mandelstam ricorda che Pasternak è stato uno dei pochi a
continuare a vederla anche dopo l’arresto di suo marito Osip. La libertà
individuale e personale è la grandezza di Pasternak. Solzhenitsyn è
molto diverso, è innanzitutto un combattente, è il Gulag a creare
Solzhenitsyn. Talvolta è dogmatico, la sua critica verso l’Occidente non
è molto articolata ma lui non cerca le sfumature, conduce una lotta ed è
efficace, il suo contributo alla fine del regime sovietico è
determinante. Dunque due attitudini diverse, piano individuale nell’uno e
militanza politica nell’altro. Ugualmente rispettabili, anche se non
sarei capace dell’eroismo di Solzhenitsyn: mi riconosco di più in
Pasternak e nei suoi piccoli compromessi».
Perché non ha messo figure come Gandhi o Martin Luther King nella sua galleria di resistenti?
«Perché
di Martin Luther King in particolare si è già scritto e detto tutto,
mentre nel caso di Gandhi non arrivo a provare quell’affinità e simpatia
personale che è un po’ una condizione dell’interpretazione. Gandhi è
una specie di fanatico della tolleranza e della non violenza, un po’
troppo sistematico per i miei gusti. E poi mi è abbastanza estraneo il
suo rifiuto radicale della modernità, che assimila all’invasore inglese.
Gandhi è contro il tram e il treno».
Gli ultimi personaggi sono contemporanei: il pacifista israeliano David Shulman e Edward Snowden. Che cosa hanno in comune?
«Shulman
non è celebre, ma proprio per questo ci si può identificare con lui, è
una persona come tante che però fa valere i suoi principi. Anche Snowden
non cerca la gloria, il denaro o il successo personale, agisce così
perché è un patriota americano, ha una idea così alta degli Stati Uniti
che ritiene suo dovere denunciare gli abusi del governo».
Molti lo considerano un traditore, più che un resistente.
«Snowden
ha trovato rifugio in Russia non certo perché apprezzi il sistema
politico russo ma perché è il solo Paese in grado di garantire la sua
sicurezza. Un po’ come Solzhenitsyn quando si era rifugiato negli Stati
Uniti pur non amando il capitalismo».
Che cosa significa «nemici complementari»?
«È
un’idea che si ritrova attraverso tutto il libro, e che è stata
formulata da Germaine Tillion durante la guerra di Algeria. Ognuno
trovava la giustificazione dei suoi atti nell’atto immediatamente
precedente dell’avversario. Il terrorismo degli indipendentisti algerini
“giustificava” le esazioni dello Stato francese, la pena capitale e la
tortura praticate dalle truppe di Parigi “giustificavano” gli atti di
cieca violenza del Fln. Non bisogna soccombere a questa violenza
mimetica, come direbbe René Girard, questa ripetizione del male in nome
della lotta al male. A mio avviso questa è la lezione per noi, oggi:
nella lotta contro il terrorismo dobbiamo cercare di non ripetere le
loro violenze. Ancora prima degli attacchi a Parigi, troppi interventi
militari sono stati giustificati da motivi umanitari. La guerra
umanitaria è un ossimoro da nuova lingua orwelliana. Preferisco
l’esempio di Nelson Mandela».