Corriere La Lettura 17.1.16
Il gesto a noi noto come «saluto romano»
I Cesari non c’entrano Lo inventò il cinema (ed è finito su Star Trek)
di Livia Capponi
Il
gesto a noi noto come «saluto romano», con il braccio destro teso
alzato a circa 135 gradi dal corpo, e con le dita della mano unite,
adottato dal regime fascista e poi dal nazismo, si presentava
esplicitamente come un revival dell’eredità di Roma. Ma esisteva davvero
quel gesto specifico di saluto nel mondo antico? La più comune forma di
saluto nella Grecia classica era una semplice stretta di mano. A Roma i
legionari battevano il palmo o il pugno sul petto, come è stato
efficacemente rievocato dal cinema. I gladiatori si afferravano
l’avambraccio destro al di sopra del polso. Sorprendentemente, esisteva
anche un saluto militare simile a quello odierno, che a torto si credeva
un’invenzione medievale.
I soldati romani, i barbari e gli
imperatori raffigurati a Roma, sugli archi di Tito e di Costantino e sui
fregi di argomento storico delle colonne di Traiano e di Marco Aurelio,
si sbracciano in svariati gesti, il cui preciso significato non è
sempre chiaro. In molti casi, sia i soldati che l’imperatore salutano
alzando la mano aperta, come faremmo noi. Altre volte, l’imperatore alza
leggermente anche il braccio, ma, come notano Andrea Giardina e André
Vauchez nel libro Il mito di Roma (Laterza, 2008), è un gesto che spesso
accompagna un augurio o un discorso rivolto ai legionari, con il palmo
della mano verticale e le dita aperte.
Il grande fregio storico
che avvolge a spirale, come la pellicola di un film, la colonna Traiana,
innalzata per celebrare la conquista della Dacia da parte di Traiano
fra il 101 e il 106 d.C., e studiato da Filippo Coarelli in La colonna
Traiana (Colombo, 1999), mostra diverse scene di incontro fra
l’imperatore, i soldati e i barbari. Nel fregio 65, l’imperatore a
cavallo è salutato da alcuni barbari con le braccia stese o piegate in
segno di sottomissione. Nel fregio 103, Traiano riceve una delegazione
nemica: un Dace leva il braccio verso l’imperatore in segno di supplica.
Nel fregio 75, Traiano arriva a un forte romano in Dacia, e viene
salutato da un gruppo di legionari e ufficiali romani; il saluto non è
sempre uguale ma con il braccio più o meno piegato, mai teso.
Nella
monetazione e nella scultura romana ci sono molte scene di arringa,
acclamazione, arrivo e partenza, dove il braccio alzato può esprimere
benedizione, saluto o potere, e il più delle volte non è ricambiato. Un
famoso esempio è l’Augusto di Prima Porta, raffigurato come un generale
vittorioso che si rivolge alla folla, il braccio leggermente piegato in
un movimento nobile e controllato, il corpo per niente sull’attenti ma,
al contrario, bilanciato da una torsione contrapposta delle gambe
divaricate e flesse, secondo i canoni derivati dalla Grecia classica. La
celebre statua bronzea nota come l’ Arringatore , dedicata al notabile
etrusco Aulo Metello alla fine del II secolo a.C. e oggi a Firenze,
presenta lo stesso gesto del braccio appena piegato con la mano alzata,
nell’atto di chi chiede solennemente l’attenzione del pubblico prima di
cominciare a parlare.
Secondo il libro di Martin M. Winkler The
Roman Salute. Cinema, History, Ideology (Ohio state university press,
2009), l’archeologia, come pure tutta la letteratura latina, non ci
mostra una sola immagine chiara del gesto specifico adottato dal
fascismo. Winkler sostiene che il saluto romano fu associato all’antica
Roma retrospettivamente e in tempi moderni. Un passaggio cruciale fu il
dipinto di Jacques-Louis David Il giuramento degli Orazi , realizzato
nel 1784 e oggi al Louvre. Manifesto del Neoclassicismo, l’opera trae
spunto da una leggenda romana, di cui parla Tito Livio, secondo cui,
durante il regno di Tullo Ostilio (672-640 a.C.) per decidere l’esito
della guerra tra Roma e Alba Longa, tre fratelli romani, gli Orazi,
sfidarono a duello tre fratelli di Alba, i Curiazi. Dei Curiazi non
sopravvisse nessuno, mentre uno degli Orazi riuscì a ritornare,
decretando la vittoria dei Romani. La scena rappresenta il padre degli
Orazi nell’atto di dare loro le spade, che innalza in un gesto di
augurio.
Il gesto dei tre fratelli non è un saluto ma un
giuramento di fedeltà a Roma, fatto in due casi con il braccio sinistro.
L’atteggiamento dei corpi e i colori delle vesti simboleggiano i valori
di libertà, uguaglianza e fraternità della Francia rivoluzionaria.
Tuttavia, il dipinto può essere considerato un punto di svolta nel
graduale processo che vide la reinvenzione del gesto, progressivamente
percepito come un saluto più che un giuramento.
Un altro probabile
precedente fu il saluto a braccio alzato alla bandiera, o Pledge of
Allegiance , creato da Francis Bellamy nel 1892 e adottato nelle scuole
degli Stati Uniti fino agli anni Trenta, e poi copiato dal fascismo. La
controversa associazione, come ha messo in luce il ricercatore
statunitense Rex Curry, ha poi fatto sì che il gesto fosse sostituito
dalla mano sul cuore, per volere di Franklin Delano Roosevelt.
Ma a
riportare davvero in vita i Romani per un pubblico di massa fu il
cinema del primo Novecento, che reinventò i gesti, oltre che i costumi,
degli antichi, prendendo spunto dal repertorio di convenzioni fissato
dal teatro preesistente. Il film Cabiria di Giovanni Pastrone (1914), il
più grande kolossal del cinema muto italiano, che vantava Gabriele
d’Annunzio come sceneggiatore e autore delle didascalie, consacra il
gesto come simbolo della romanità: difatti in chiave politica viene
usato per la prima volta dai legionari fiumani dello stesso d’Annunzio
nel 1919. In Scipione l’Africano di Carmine Gallone (1937) il saluto
ricorre ossessivamente a richiamare l’associazione romanità-fascismo. Il
successivo cinema del dopoguerra ha ormai interiorizzato questa visione
di Roma, e la popolarità dei grandi kolossal hollywoodiani di argomento
religioso conferisce ulteriore credibilità ai dettagli in essi
contenuti. Ben-Hur di William Wyler (1959) e Quo Vadis di Mervyn LeRoy
(1951) fanno esplicito riferimento a Roma come metafora del fascismo, e
agli Ebrei e ai Cristiani come simbolo della libertà degli Stati Uniti.
Il saluto romano di Peter Ustinov nei panni di Nerone scimmiotta
mostruosamente bene i grandi dittatori. Nei film più recenti, fino alla
televisione di Star Trek , il saluto romano non è più esplicitamente
associato al fascismo o al nazismo ma è comunque usato per evocare
regimi autoritari.
L’assenza di prove inconfutabili sull’esistenza
del saluto romano nel mondo antico è l’esempio di come una narrazione
potente sia in grado di produrre una storia irreale e di farla accettare
come una verità storica dal grande pubblico, incapace o disinteressato a
cogliere il paradosso. Mistificare un fatto inventato spacciandolo come
realmente accaduto, o riempire il passato di contenuti attuali, d’altra
parte, è un vecchio trucco narrativo, quello, sì, utilizzato fin dai
tempi dei Romani.