sabato 9 gennaio 2016

Corriere 9.1.16
Gerusalemme, anno 70. La fiera sconfitta
di Antonio Carioti

Nelle infinite guerre che i Romani condussero per conquistare e mantenere l’impero, uno degli ossi più duri che incontrarono fu il popolo ebraico. Non per la sua forza militare, piuttosto limitata, ma per lo zelo religioso che ne cementava l’identità, tale da renderlo straordinariamente refrattario alla pur notevole attrazione integrativa e inclusiva esercitata dalla civiltà romana sulle genti sottomesse. Tra dominatori e dominati si creò così la drammatica «incomunicabilità» su cui insiste Giovanni Brizzi nel libro 70 d.C. La conquista di Gerusalemme edito da Laterza: un fattore che avrebbe inasprito il conflitto, rendendolo «crudele fin quasi ai limiti del genocidio».
In questo scenario di lotta senza quartiere, che l’autore segue passo per passo, nei suoi aspetti ideologici come in quelli più tecnici legati alla condotta bellica delle parti in conflitto, si stagliano alcune figure di notevole rilievo.
Primo fra tutti Giuseppe Flavio, lo storico ebreo che prima combatte gli occupanti e poi si schiera con loro, cercando una difficile conciliazione tra il culto giudaico e la legge dell’impero. Poi Tito, futuro imperatore, il comandante romano sempre in prima linea con suoi legionari, che cerca di trattare con i ribelli, ma poi, di fronte alla loro ostinazione, li punisce senza alcuna pietà. E i capi degli insorti, come Simone bar Giora, Giovanni di Giscala, Eleazar ben Simon, animati da un fervore messianico in cui religione e politica diventano tutt’uno.
La rivolta scoppia nel 66 d.C. e si conclude nel 70 con la distruzione del Tempio di Gerusalemme: l’esito dello scontro non è mai veramente in dubbio, data la potenza soverchiante delle legioni. Ma le sommosse proseguono per altri 65 anni, in Giudea come nei luoghi della diaspora ebraica: Cirene, Cipro, la Mesopotamia, l’Egitto. E Roma deve impiegare «un patrimonio non rimpiazzabile di energie vitali», sottolinea Giovanni Brizzi, per reprimerle nel sangue.
Una tragedia quanto mai istruttiva circa le conseguenze funeste cui può portare l’incapacità di dialogare tra culture diverse.