mercoledì 6 gennaio 2016

Corriere 6.1.16
Le arti sono un piacere per i sensi L’empatia abita nell’architettura
di Gillo Dorfles


Il rapporto tra i diversi linguaggi artistici — pittura, letteratura, musica — e gli organi di senso a essi corrispondenti è da sempre noto e ampiamente studiato (anche se spesso con risultati ambigui e controproducenti). Il rapporto tra gli organi di senso e le creazioni artistiche che ne partecipano è evidente a chiunque e costituisce in un certo senso il fondamento di ogni singolo linguaggio.
Se questo è vero e indiscutibile per quanto concerne la pittura e la musica, le cose sono sostanzialmente diverse nel caso dell’architettura. In effetti per pittura e musica l’udito e la vista costituiscono l’indispensabile piattaforma per ogni forma espressiva che li riguardi; mentre quando si tratti dell’architettura, essa non è riconducibile a un unico organo di senso, ma interessa globalmente tutto il nostro organismo. Chi si addentra nello spazio di una chiesa, di un impianto sportivo, di un palazzo o anche di una semplice abitazione, avrà subito la sensazione che molte zone della sua corporeità siano interessate e il percorrere i diversi spazi — quali i corridoi, le scale, le terrazze eccetera — necessita di un impegno che comprenda e interferisca con tutto l’apparato cenestesico del nostro organismo. In altre parole avviene una vera e propria «empatia» tra il nostro organismo e la spazialità nella quale sia coinvolto.
Questa coesione non è solo soggettiva e sensoriale, ma comprende anche la messa in atto di numerose formazioni neurologiche della nostra corteccia cerebrale, così ad esempio organi come il talamo, l’insula, l’ippocampo; i vari nuclei della base vengono in un certo senso esaltati dalla presenza di una spazialità eteroclita e questo fa sì che anche la nostra comprensione, di fronte alla costruzione architettonica, venga a costituirsi come qualcosa di a sé stante e insieme artisticamente godibile.
Il connubio tra l’architettura e le neuroscienze è stato recentemente ben individuato e studiato dall’interessante manuale di Harry Francis Malgrave L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze (prefazione di Vittorio Gallese,traduzione di Alessandro Gattara, Raffaello Cortina Editore, pagine 278, e 28), a dimostrazione di come nel caso dell’architettura, entri sempre in gioco quella che dobbiamo definire l’Empatia; ossia una sensazione multipla che comprende sia elementi soggettivi che sensoriali, che potremo definire di autoproiezione spaziale. Tale rapporto dell’architettura non si ferma agli organi consuetamente interessati perché i centri nervosi della base cerebrale cui ho già accennato, e soprattutto il talamo e l’insula, hanno una primaria funzione nel nostro modo di intendere e di sperimentare ogni edificio architettonico.
Negli ultimi tempi, si è potuto constatare che la nostra attività neurologica va molto al di là di quelle che sono le ordinarie risposte di uno stimolo sensoriale, cioè comprendono la formazione di un’immagine che si esplica sia nella progettazione di un elemento architettonico sia nella nostra risposta allo stesso. La risposta neurologica alla spazialità architettonica interessa da vicino alcune delle strutture fondamentali della corticalità cerebrale, a iniziare dai centri della vista e dell’udito e da quelli che guidano il nostro equilibrio spaziale e in generale tutto quanto il nostro organismo. Ecco perché, parlando dell’empatia degli spazi, l’autore compie subito una distinzione tra la sensibilità elementare dei nostri sensi e quella che invece deriva dalla complessa struttura neuronica del nostro cervello.
Ancora una volta dobbiamo constatare — o, in un certo senso, evidenziare per il pubblico — la sostanziale differenza tra una sensibilità soggettiva rivolta agli svariati linguaggi estetici e quella particolare forma di sensibilità al tempo stesso, oggettiva, soggettiva, sensoriale ed empatica di cui l’architettura è depositaria. Solo con questa visione, avremo la possibilità non solo di constatare l’efficacia della creazione architettonica ma anche di evitarne le complicazioni residenziali.