Corriere 5.1.15
Lo storico Kepel: «Ma è l’Isis il vero vincitore di questo conflitto»
«È l’Isis che trae beneficio dalle tensioni tra Arabia Saudita e Iran, innescate dai sauditi per protestare contro la politica di apertura americana verso Teheran. Per Riad la questione si fa più grave perché la crescita del radicalismo sunnita sta destabilizzando il Paese. Lo dimostra l’ultima ondata di esecuzioni: 43 su 47 condannati sono jihadisti sunniti. La monarchia ha incluso tra i pochi sciiti lo sceicco Nimr al Nimr come precauzione contro le critiche dei conservatori interni». Gilles Kepel commenta da storico e sociologo dell’Islam radicale gli sviluppi della crisi in Medio Oriente.
Come legge la rottura tra Riad e Teheran?
«Una sfida saudita alla strategia americana che ha reintegrato l’Iran nella politica internazionale, dandogli un ruolo chiave nella lotta all’Isis. La chiusura dell’ambasciata a Teheran renderà più complicata la battaglia al Califfato. Riad rischia di essere penalizzata da un effetto boomerang. I sauditi sono minacciati dal radicalismo sunnita sul loro territorio, un pericolo molto più grave per la stabilità della casa regnante che non la presenza di una minoranza sciita marginalizzata».
Perché i sauditi procedono con le esecuzioni ora?
«La monarchia vive una fase di precarietà estrema. La caduta del costo del petrolio ha conseguenze gravissime per la stabilità della casa regnante. La sua posizione internazionale vacilla, all’interno crescono forti contestazioni sociali e politiche. Non va dimenticato che tra il 2003 e il 2009 Al Qaeda compì diversi attentati. Tra gli obiettivi c’era anche l’attuale vice primo ministro e principe ereditario Mohammad Ben Nayef al Saud. Oggi l’Isis ha preso il posto di Al Qaeda: i suoi seguaci cresceranno in proporzione al crollo del greggio. Le esecuzioni rispondono a esigenze di ordine interno».
Non è una sfida all’Iran?
«Non penso. D’altro canto, la casa regnante è afflitta da gravi dilemmi. L’ideologia radicale salafita resta alla base del suo credo, ha le stesse radici di quella cui fanno riferimento Al Qaeda e il Califfato. Con la differenza che gli Al Saud mirano a controllare i sunniti del mondo intero, però intendono mantenere buoni rapporti con l’ Occidente per vendere petrolio. Isis invece contro gli occidentali predica la guerra radicale e accusa i sauditi di corrompere i principi sacri dei salafiti».
Perché allora uccidere al Nimr e provocare una nuova crisi inter-islamica?
«Può sembrare strano. Al Nimr non era un estremista, non predicava la violenza, non era stato catturato con armi in mano. Però aveva offeso Mohammad Nayef al Saud quando, alla morte del padre, aveva dichiarato che questi era caduto all’inferno divorato dai vermi. Non va sottovalutata l’ipotesi che il principe ereditario, pur appartenendo alla giovane generazione di sauditi educati all’estero, abbia voluto vendicarsi. In ogni caso, la casa regnante non poteva uccidere 43 sunniti senza inimicarsi conservatori. Doveva mischiarli a personaggi di spicco dell’opposizione sciita».
Conseguenze?
«S’indebolisce la grande coalizione tessuta con pazienza dall’Onu, dove sciiti e sunniti dovrebbero unirsi e creare il fronte anti Isis».
Come può reagire l’Iran?
«Anche a Teheran non mancano i dilemmi. Nel caso si metta in moto una reazione violenta, sarà in crisi il regolamento pacifico del nodo nucleare con il mondo occidentale. Se la reazione si dimostra troppo dolce, i moderati legati al presidente Rouhani saranno accusati di debolezza dai falchi e dal clero radicale».
Gli Usa possono rappacificare i due fronti?
«L’Occidente può fare poco o nulla. Gli Usa, alleati dei sauditi, non sono stati consultati prima della rottura diplomatica con Teheran. Anzi, tra le due parti è in corso un duro braccio di ferro economico. Riad abbassa il prezzo del petrolio per boicottare la nuova produzione Usa e riprendere il controllo del mercato, ma rischia grosso, le sue entrate sono in caduta libera. È un tema delicato, che avvelena le relazioni tra Riad e Washington».
E l’Europa?
«Siamo più che mai impotenti. La politica estera europea resta frammentaria, di poco peso. Le nostre dipendenze energetiche dal Golfo ci penalizzano. E i Paesi che, come la Francia, vendono armi ai sauditi sono condizionati dall’interesse economico, tanto da restare quasi in silenzio».