sabato 30 gennaio 2016

Corriere 30.1.16
Se i politici aspettano le piazze
di Michele Ainis

E due. Dopo le adunate arcobaleno del 23 gennaio (un milione di persone in 96 città, per difendere la legge sulle unioni civili), oggi tocca al Family day contro la stepchild adoption . Che nonostante l’etichetta non si terrà sulle rive del Tamigi, bensì a Roma, al Circo Massimo; e anche stavolta sono attesi un milione di manifestanti. Insomma, una piazza spiazza l’altra. Ma chi rimpiazza questa piazza? Il Parlamento, o ciò che ne rimane. Perché ieri come adesso non è in questione il sacrosanto diritto di riunirsi, d’assieparsi in folle vocianti inalberando le proprie ragioni. No, è in questione il modo in cui la politica s’atteggia dinanzi a tali eventi, la singolare inversione di ruoli e competenze fra popolo e Palazzo.
Le prove? Già la conta delle adesioni illustri ha un che d’improprio, d’irrituale. La settimana scorsa, a sfilare in sostegno del ddl Cirinnà, c’erano ministri (Martina), viceministri (Della Vedova), sottosegretari (Scalfarotto), governatori (Serracchiani), sindaci (de Magistris), e ovviamente frotte di parlamentari. Oggi è previsto il bis, sicché ti monta in gola una domanda: ma contro chi manifesta cotanto manifestante? Contro il legislatore, cioè contro se stesso. E no, gioco scorretto: a ciascuno il suo mestiere. Chi governa deve sfornare testi, non proteste. Almeno su quelle, lasciate il monopolio ai cittadini, dato che voi esercitate il monopolio sulle leggi. Sennonché pure quell’antico dominio parrebbe ormai senza padroni.
Il disegno di legge sulle coppie gay aveva subito un’accelerazione alla vigilia della piazza favorevole, è rallentato bruscamente alla vigilia di quest’altra piazza, tanto che il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità è stato rinviato. A quale scopo, forse per contare le adesioni? Ma il principio di maggioranza vale nelle assemblee legislative, non sui marciapiedi. In democrazia si governa con un seggio in più, non con un corteo più numeroso. Anche perché altrimenti s’investe la piazza di un potere interdittivo, del quale ha immediatamente approfittato Massimo Gandolfini, promotore del Family day . Venite in molti, ha detto, così fermeremo questa legge. E se Renzi non ci ascolta, bocceremo pure il referendum costituzionale. Ma perché, la nuova Costituzione è omosessuale?
E a proposito di referendum. È l’unica pistola di cui sono armati i cittadini, il solo contropotere popolare avverso gli abusi o gli errori del potere. In questo frangente, viceversa, l’ha evocato Alfano, ministro dell’Interno. Per carità, è un suo diritto. Ma è un dovere dei politici governare nelle istituzioni, non nelle piazze. Intervenire in Parlamento, non nei talk show televisivi, dove ormai s’incontrano più senatori che in certe sedute a Palazzo Madama. Occuparsi di leggi e di decreti, non d’una frasetta pronunziata a Ballarò dal suo conduttore. Ed è un dovere — etico, politico, giuridico — reggere anche il peso di decisioni impopolari, se lo reclama l’interesse generale. Governare significa scontentare, diceva Anatole France.
Ecco, è da quest’impotenza che deriva la potenza della piazza. Da una politica debole, in crisi di fiducia popolare, che insegue perciò l’ultimo sondaggio, l’ultimo dato d’ascolto in tv. Ne è prova la retromarcia del governo sul reato d’immigrazione clandestina: avrebbe dovuto abrogarlo ai primi di gennaio, poi non ne ha fatto nulla, troppi mal di pancia nell’elettorato. Eppure l’altro ieri il presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, ha ribadito che si tratta d’un reato inutile e dannoso. Nessuna reazione; forse gli converrà indire a sua volta un Justice day . Nel frattempo il Parlamento è debole nei confronti del governo, il governo è debole nei confronti delle piazze. Ai politici italiani, più che un voto, serve una vitamina.