Corriere 30.1.16
Il governo della nazione
Il premier e l’ampia maggioranza per vincere la sfida di ottobre
di Francesco Verderami
È
nato il governo della nazione, retto alle Camere da una maggioranza per
la nazione, che non darà vita al Partito della nazione ma (forse)
all’Alleanza per la nazione.
Il rompicapo è più
semplice di quanto appaia, così come il rimpasto è più importante di
quanto non appaia. Perché è dalla «ristrutturazione» dell’esecutivo che
si comincia a delineare la strategia del premier, due anni dopo la presa
di Palazzo Chigi e due anni prima dell’esame elettorale. Gli innesti
nella squadra di governo, intanto, sono stati il modo in cui il leader
del Pd ha instaurato una sorta di «pax renziana» nel vasto territorio
che controlla: ha rinsaldato il patto con la minoranza dialogante del
suo partito, ha soddisfatto un pezzo di mondo cattolico progressista
legato alla comunità di Sant’Egidio, ha lanciato un segnale alla Cgil
tenendo ai margini la «ditta», ha dato un upgrading a Scelta civica, e
soprattutto ha riconosciuto un ruolo da alleato ad Alfano ma senza
impegnarsi sul futuro.
Il risultato è la nascita del governo della
nazione, se è vero che nello stesso gabinetto ora convivono l’erede di
una famiglia liberale come il neoministro Costa, e un eretico della
Rifondazione comunista come il neosottosegretario Migliore. Un melting
pot che per gli avversari di Renzi ha i caratteri di un’operazione
trasformista, ma che per Renzi è un tentativo di veder remare tutti i
coalizzati nello stesso verso in vista del referendum costituzionale. E
poco importa se i dubbi sulla composizione dell’equipaggio non hanno
smesso di tormentarlo, se non è mai profondamente convinto delle scelte:
dall’inizio della sua avventura al governo va così, anche stavolta c’è
stato un rimpasto nel rimpasto.
Il governo della nazione serve ai
suoi obiettivi e in fondo rispecchia l’immagine della maggioranza alle
Camere, che è cambiata da quando ottenne la fiducia. Perché non c’è
dubbio che il baricentro si stia sempre più spostando da sinistra verso
il centrodestra, che al Senato — dove i voti non si pesano ma si contano
— i parlamentari provenienti dal disciolto Pdl sono ormai la metà di
quelli espressi dal Pd. E a fronte di una lenta emorragia nelle file
democratiche si assiste a un travaso di ex e post-berlusconiani, «che
fanno la fila» come ha detto Renzi nell’ultimo discorso a palazzo
Madama, e che «aumenteranno» come ha preannunciato Verdini.
È vero
che il capo del gruppo Ala — primo esempio di adozione politica a
distanza — non è stato ancora accolto in casa. Ma è come se già ci
fosse, sta lì sul pianerottolo: è con lui che in Parlamento ha preso
corpo la maggioranza per la nazione.
Toccherà al premier decidere
se questa formula di Palazzo sarà proposta un giorno al giudizio del
Paese. Di certo non è nelle intenzioni del premier dar vita al Partito
della nazione, come ieri ha ripetuto il ministro Boschi, sebbene Verdini
teorizzi che «Renzi potrebbe essere costretto dagli eventi a cambiare i
propri piani». In prospettiva resta comunque valida un’altra opzione,
che diventerebbe realtà se il leader del Pd accedesse all’idea di
cambiare la legge elettorale e di restituire il premio di maggioranza a
una coalizione, non più a una lista. È lì che nascerebbe l’Alleanza per
la nazione e il cerchio si chiuderebbe in modo clamoroso.
Renzi
finora ha fatto muro sull’Italicum, o meglio non ha mostrato le sue
carte. La scelta peraltro arriverà solo alla vigilia del voto, sarà il
frutto di un’analisi del risultato referendario, sarà l’effetto di un
calcolo costi-benefici, dovrà scontare variabili che al momento non
possono essere valutate. Il percorso è troppo lungo, se davvero le urne
si aprissero nel febbraio del 2018, così come il premier non smette di
ripetere in pubblico e in privato.
L’Alleanza per la nazione resta
dunque sullo sfondo, mentre in Parlamento si consolida la maggioranza
per la nazione. La quotidianità dei voti nelle Aule del Parlamento,
insieme alla battaglia referendaria, potrebbero fare da innesco al
cambio di sistema. Rimane da capire come si assesterà l’area che un
tempo era nel centrodestra, «e che resta di centrodestra», sottolinea
Schifani: «Noi non saremo una nuova Margherita». La scommessa contempla
una sola puntata, e proprio l’uomo dei numeri di Berlusconi avvisa che
«non possiamo sbagliarla»: «Studio i flussi elettorali, conosco il
rapporto che c’è tra un leader e l’opinione pubblica di riferimento.
Perciò — dice Verdini — sono il primo a non farmi illusioni. Ma ritengo
che questa area, garantendo l’elettorato di centrodestra sulla bontà
delle scelte di governo di Renzi, possa arrivare al 10%».
«Giocatevi
le vostre carte poi si vedrà»: così ha detto il premier che non dà
garanzie sull’Alleanza per la nazione. Ma intanto si tiene stretti il
governo della nazione e la maggioranza per la nazione.
Francesco Verderami