Corriere 30.1.16
Regolare le unioni civili come avviene in Europa
Uguaglianza
La Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo
Stato deve approvare norme che diano gli stessi diritti a tutti. La
rissa intorno alla stepchild adoption pare un pretesto per opporsi a una
inevitabile svolta legislativa
di Beppe Severgnini
L
a Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo Stato
deve regolare le unioni civili, anche tra persone dello stesso sesso. I
cittadini, di qualunque religione, devono rispettare la legge. I
cattolici, di qualunque opinione, devono comprendere, amare e aiutare il
prossimo.
Troppo semplice? O invece è inutilmente complicata la
discussione cui assistiamo? Complicata e cattiva. In una questione dove
l’amore è — dovrebbe essere — centrale, sembra un’assurdità.
Un buon modo di procedere? Rispettare le ragioni degli altri; e provare a mettersi nei loro panni.
E’
così difficile, ad esempio, capire il punto di vista di chi ritiene il
matrimonio, per definizione, l’unione di un uomo e di una donna? Negli
Usa, come sappiamo, la questione è stata trasportata sul terreno dei
diritti civili: negare a due uomini o a due donne la possibilità di
sposarsi tra loro è come rifiutare ai neri di salire sull’autobus
frequentato dai bianchi. La logica, pericolosa conseguenza: considerare
alla stregua d’un razzista chi ritene il matrimonio soltanto un’unione
tra uomo e donna.
E’ tanto complicato, d’altro canto, ammettere
che le unioni civili vanno regolamentate? E’ avvenuto in tutta Europa,
con l’eccezione di alcuni Paesi dell’Est. Perché noi no? I vescovi
italiani hanno spiegato, ieri: «L’equiparazione in corso tra matrimonio e
unioni civili — con l’introduzione di un’alternativa alla famiglia — è
stata affrontata all’interno della più ampia preoccupazione per la
mutazione culturale che attraversa l’Occidente». Un punto di vista
rispettabile. Ma la conclusione non può essere «Lasciamo nel limbo ogni
altra forma di unione». Sarebbe poco caritatevole. E poco rispettoso: le
leggi dello Stato le fa lo Stato, non la Chiesa.
L’umore nel
movimento dell’imminente Family day non pare conciliante. Nelle
intenzioni, una dimostrazione d’amore per la famiglia; nei fatti, una
manifestazione di ostilità verso tutte le nuove coppie. Coppie che tutti
conosciamo e che oggi non godono delle garanzie minime: diritti di
visita, permessi di lavoro per motivi di famiglia, diritti di
successione. Le nuove unioni civili — gridano gli avversari del ddl
Cirinnà — s’ispirano all’istituto del matrimonio! E a cosa dovrebbero
ispirarsi, di grazia? Alle comunità hippy, alle società in accomandita
semplice, alle associazioni di pesca sportiva?
Al di là dei
variopinti trascorsi coniugali dei paladini politici del Family day —
«Amano così tanto la famiglia che ne vogliono più d’una», è stato
scritto — non si capisce di dove venga l’asprezza che condisce i loro
discorsi. Le apparizioni televisive diventano crociate, le opinioni
diverse sono trattate come provocazioni. Il saggista Mauro della Porta
Raffo, non richiesto, ha distribuito ai contatti della rubrica
telefonica questo messaggio: «Giorno verrà, e presto, in cui verrà
legiferato in merito alle unione civili tra uomini e animali!». Non un
modo di rasserenare gli animi, diciamolo.
Il dibattito in Senato
s’annuncia tempestoso. Ieri, durante una prima discussione sulle
pregiudiziali, si sono ascoltate opinioni strabilianti (riportate da
Andrea Fabozzi su il Manifesto ). Sen. Giovanardi. «Mentre il matrimonio
è nullo se non è consumato, non si riesce a capire bene chi vada a
stabilire che tipo di rapporto c’è tra coloro che stipulano le unioni
civili». Senatore Malan: «La presenza non solo della madre ma anche del
padre permette che la nostra specie abbia una possibilità di sviluppo
maggiore, con un cervello più grande degli altri animali rispetto alla
nostra statura». Questo per impedire a due persone che si vogliono bene
d’ottenere un riconoscimento giuridico? Suvvia.
La rissa intorno
alla stepchild adoption — il solito nome inglese per rendere
incomprensibile ai più un concetto difficile per molti — pare un
pretesto per opporsi a un inevitabile aggiornamento legislativo.
L’Italia — lo sappiamo tutti — ha già deciso. Alcuni degli argomenti che
sentiremo nelle piazze del Family day ricordano quelli che circolavano
quarantadue anni fa, alla vigilia del referendum sul divorzio: «Se si
apre uno spiraglio, poi passerà di tutto!». La risposta dovrebbe essere
la stessa: nessuno è obbligato a divorziare, nessuno è costretto a
convivere. Ma se qualcuno vuole farlo, perché dovremmo impedirglielo?