Corriere 30.1.16
L’Occidente tedesco di Heidegger
Il filosofo pensava che la missione della Germania fosse aprire la strada a un nuovo inizio
L’equivoco. Una visione metafisica che non può essere confusa con il razzismo tradizionale di Evola
L’antisemitismo. Viene escluso l’ebreo che resta un nemico perché privo di suolo e di fondamento
di Donatella Di Cesare
Esce
in questi giorni, nell’eccellente traduzione di Alessandra Iadicicco,
il secondo volume dei Quaderni neri di Martin Heidegger (Bompiani) in
cui sono comprese le Riflessioni che vanno dal 1938 al 1939. Alle quasi
700 pagine del primo volume si aggiungono così altre 584 pagine: una
sfida per i lettori italiani, ma anche un monito. Perché sarebbe
doveroso affrontare il testo in modo critico, prima di emettere giudizi
sbrigativi o di lasciarsi andare a facili scoop.
L’ultimo è quello
lanciato dal giornalista tedesco Thomas Vašek, e ripreso da Angelo
Bolaffi («Repubblica», 4 gennaio), secondo cui Heidegger non sarebbe che
un epigono di Julius Evola e del suo razzismo. La prova flagrante
sarebbe un fantomatico foglietto, di poche righe e di oscura
provenienza, che potrebbe, tutt’al più, essere un appunto. Per i
tedeschi un bel modo, certo, per scaricare sugli altri responsabilità
proprie. Sì, perché il nazismo non è stato il fascismo. E soprattutto
perché l’antisemitismo metafisico di Heidegger non è riducibile al
razzismo tradizionale. D’altra parte l’aggettivo «metafisico» non mitiga
l’antisemitismo, bensì ne indica la gravità abissale. L’antisemitismo
metafisico di Heidegger ha una provenienza teologica, una intenzione
politica, un rango filosofico.
Se deleteri sono, per un serio
dibatto, i vuoti scoop, esiziali sono gli interventi dei «negazionisti»
dell’ultima ora, quelli che pretenderebbero di cancellare con una spugna
i passi antisemiti. Come se Heidegger non parlasse di Verjudung o di
Weltjudentum , cioè di «ebraizzazione» e di «ebraismo mondiale» —
termini non neutri, né casuali. Nei Quaderni neri vengono mosse,
d’altronde, accuse precise: privi di suolo, di fondo, di fondamento, gli
ebrei sono gli sradicati agenti dell’accelerazione, della
tecnicizzazione del pianeta, della desertificazione della terra. Ma
soprattutto gli ebrei sono la figura della fine che si ripete, impedendo
al popolo tedesco di risalire al mattino dell’Occidente.
Proprio
l’Occidente è uno dei grandi temi del secondo volume dei Quaderni neri .
Il tedesco Abendland rende bene ciò che l’etimologia suggerisce:
l’Occidente è la «terra della sera», il Paese dove sembra che il sole
vada declinando. Dalla prospettiva dei greci — s’intende. Sono allora le
coste dell’Esperia, dell’Italia odierna, quelle dove il sole pare quasi
inabissarsi nel mare. Ma non si deve fraintendere: per Heidegger
l’Occidente non è un luogo geografico, né un sistema di valori, bensì
un’epoca nella storia del mondo. E gli esperii sono quelli venuti tardi e
dopo — rispetto ai greci. L’inizio dell’Occidente è greco. Non è
possibile, perciò, alcuna meditazione sul mondo occidentale senza un
confronto con quel primo inizio greco. Il che vuol dire riprendere il
filo della «filosofia» che costituisce la trama segreta della storia
occidentale.
Sebbene l’Occidente sembrasse sprofondare nel nulla
del nichilismo europeo, non si trattava di un tramonto, Untergang —
secondo la famosa profezia di Spengler — bensì di un passaggio, Übergang
. Il buio di quell’epoca, al termine degli anni Trenta, è considerato
da Heidegger non come l’oscurità della fine, ma come lo spegnersi
dell’ultimo lume della sera che avrebbe permesso di scorgere l’albore
del mattino. Non si poteva, certo, resuscitare il primo inizio greco; ma
si doveva attraversare sino in fondo la lunga notte dell’Essere, per
risalire, oltre la metafisica, quella perversa malattia dell’Occidente, a
un «altro inizio». La Terra della Sera avrebbe dovuto risvegliarsi a
una nuova, dorata alba, scoprirsi Terra del Mattino.
Chi avrebbe
potuto scorgere il passaggio, là dove tutti vedevano un crollo
ineluttabile? Chi poteva seguire la strada della fine, per imboccare il
sentiero dell’inizio? Solo i tedeschi. Il destino dell’Occidente, la sua
«salvezza» era nelle loro mani. I tedeschi avrebbero dovuto essere gli
Übergehenden , «coloro che passano oltre», che aprono un varco anche per
gli altri popoli europei. Ecco il loro compito.
«Tutto il
”sangue”, tutta la ”razza”, ogni ”carattere nazionale” è inutile, e solo
un decorso cieco, se non vibra già in un azzardo dell’Essere». Più
volte Heidegger si chiede: «Dove sono finiti i tedeschi?». La decisione a
cui li richiama è filosofica: tra il sonno dell’uomo occidentale,
immerso negli enti, e il risveglio all’Essere.
Ma non per questo i
termini sono meno gravi. Nell’epoca della fine il rischio non sarebbe
solo la vittoria della metafisica, ma anche, per quel legame di
complicità che li lega, la vittoria dell’ebraismo. Vincerebbe allora «la
più grande assenza di suolo che, a nulla vincolata, tutto quanto si
asservisce (l’ebraismo)». Già nel 1938, all’indomani della Notte dei
cristalli, Heidegger parla di «battaglia», e non esita a individuare
nell’Ebreo il nemico metafisico che impedisce ai tedeschi l’accesso
all’altro inizio. Il tratto greco-tedesco lascia fuori gli ebrei, l’asse
dell’Essere li esclude. Per loro — questo è il verdetto — non c’è
spazio nella topografia dell’Occidente.