Corriere 27.1.16
Shoah, il dovere della memoria
di Donatella Di Cesare
Giorno
della memoria, il ricordo del genocidio degli ebrei nei lager nazisti
che molti vorrebbero omologare ad altre stragi. Ma la polemica ha il
sapore greve di un antisemitismo dilagante in Europa.
Ecco,
dunque, il 27 gennaio, il «Giorno della memoria». Di nuovo celebrazioni,
cerimonie, discorsi di circostanza, dove si ripetono luoghi comuni,
mostre stantie, dove anche le immagini, un tempo vivide, sono condannate
a divenire icone sbiadite. E tutto per un genocidio che risale a un
passato ormai lontano, uno fra i tanti. Sì, perché le pagine della
storia sono piene di tragedie analoghe — prima e, persino, dopo la
Shoah. Come dimenticare il genocidio armeno, la bomba su Hiroshima,
l’eccidio in Ruanda, i massacri in Bosnia? E perché non affrontare
l’immane tragedia dei profughi? «Basta con questi ebrei che hanno
preteso per anni di avere il monopolio del dolore!». «Basta con questi
ebrei che hanno fatto di Auschwitz l’emblema del male assoluto!». «Basta
con questi ebrei, il sedicente popolo “eletto” che rivendica una
eccezionalità perfino dello sterminio». Come se «unico e incomparabile»
fosse il crimine che hanno subìto. «Basta con questi ebrei che
dall’Olocausto hanno tratto un redditizio business e ogni anno tornano a
presentare il conto». «Basta con questi ebrei che vogliono essere le
vittime per eccellenza, come se ci potesse essere una gerarchia, come se
le morti non fossero sempre e ovunque uguali per tutti!». Da anni
infuria la polemica sul Giorno della memoria. Si stigmatizzano i
cosiddetti «abusi». Si chiede di voltare pagina. Come se il passato non
fosse indispensabile per guardare al futuro. È indubbio che la sindrome
del «dovere della memoria» ha sortito effetti perversi. Così come è
indubbio che, nei Paesi europei, implicati nello sterminio, la cultura,
la politica e l’informazione hanno enormi responsabilità. I progetti
didattici, che si limitano spesso ai «viaggi della memoria», mostrano
tutti i loro limiti. Tra la ragionieristica del lager e l’emozione del
momento non c’è spazio per la riflessione critica. Come spiegare
altrimenti lo sconcertante aumento dell’odio verso gli ebrei? In
Germania le cifre sono ormai da record. La maggior parte dei tedeschi
vuole lasciarsi alla spalle Auschwitz e puntare liberamente l’indice
contro Israele. L’Italia non è da meno. Ecco perché la polemica sul
Giorno della memoria ha il sapore greve dell’antisemitismo, il gusto
acre della cattiva coscienza. Non è difficile trovare ciò nel web, dove
diffusa è anche la macabra competizione tra i genocidi. A che cosa
dovrebbe servire questa gara? A meno che lo scopo recondito non sia
gettare discredito sugli ebrei. Ricordare è pensare. E della Shoah resta
ancora molto su cui riflettere. Si deve parlare delle camere a gas,
delle officine hitleriane, perché le morti sono tutte uguali — ma non lo
sono i modi di morire. Non vogliamo che si ripeta né la fabbricazione
dei cadaveri né, tanto meno, quell’esperimento del non-uomo, mai
compiuto prima, in cui l’umanità stessa è stata messa in questione.
Sebbene sia insopportabile, occorre ricordare quel che è accaduto,
perché viviamo all’ombra di Auschwitz e, senza conoscere, si rischia di
non ri-conoscere: l’odio per l’altro, il cripto-nazismo,
l’antisemitismo. L’Europa non può sottrarsi. Tutto allora iniziò con le
frontiere sbarrate ai profughi ebrei, chiuse a un intero popolo, che fu
consegnato all’annientamento.