Corriere 26.1.16
Brodskij, inviso al regime Ma non fu un dissidente
risponde Sergio Romano
Non
saprei se Josif Brodskij, poeta e drammaturgo russo, possa essere
definito un dissidente. Non sono in grado di valutare se il premio Nobel
per la letteratura assegnatogli nel 1987 sia assimilabile a quello di
cui fu insignito Pasternak e se abbia provocato altrettanti malumori
nell’Urss ormai prossima al crollo. Certamente da noi è del tutto
sconosciuto. So solo che era nelle grazie della poetessa Achmatova e che
subì un processo con la condanna di cinque anni ai lavori forzati, che
paradossalmente giudicava i più belli della sua vita. Potrebbe
illustrarci la sua attività?
Giampaolo Grulli
Caro Grulli,
Nel
suo discorso di Stoccolma, quando ricevette il premio Nobel per la
letteratura l’8 dicembre 1987, Brodskij disse tra l’altro: «Se l’arte
insegna qualcosa (all’artista, anzitutto), è il carattere privato della
condizione umana. L’arte è la più antica delle imprese private e ha
l’effetto di sviluppare nell’uomo, consapevolmente o inconsapevolmente,
il senso della sua unicità, individualità, separatezza, di tutto ciò che
lo trasforma da essere sociale in essere autonomo». E più in là, verso
la fine del discorso, Brodskij disse: «La scelta estetica è una scelta
eminentemente individuale, e l’esperienza estetica è sempre una
esperienza privata».
Considerate in una prospettiva sovietica,
queste parole sono il efficace degli atti d’accusa che il regime avrebbe
formulato contro la sua persona. Brodskij non fu mai un dissidente.
Quando i censori del ministero della Cultura dell’Urss e i guardiani del
realismo socialista constatarono che i samizdat delle sue poesie
cominciavano ad attrarre grande attenzione in patria e all’estero, le
parole utilizzate dalla stampa per definire l’autore furono
«pornografico, antisovietico e parassita sociale». Un processo, nel
1964, lo condannò a cinque anni di lavori forzati e lo confinò in un
villaggio dell’Artico, nella regione di Arcangelo.
Per il regime
quella condanna ebbe l’effetto di un boomerang. Cacciato da Leningrado,
Brodskij divenne il protagonista di uno scandalo internazionale e la sua
opera, pubblicata all’estero in russo o tradotta in altre lingue, lo
rese molto più famoso di quanto fosse stato precedentemente. Fu questa
la ragione per cui, dopo un anno e mezzo di lavori forzati, il regime lo
rimandò a casa. Ma anche questa seconda decisione produsse l’opposto
degli effetti desiderati. Il mondo della cultura voleva essere informato
sulla sua vita e la sua opera; gli scrittori stranieri che visitavano
l’Urss chiedevano di vederlo; le università e le istituzioni culturali
europee e americane organizzavano incontri in suo onore. Per tagliare
corto e ridurre i danni, il regime, nel 1972, lo mise su un aereo per
Vienna. Il segretario generale del partito comunista sovietico, allora,
era Leonid Breznev. Nel 1987, l’anno del premio Nobel, il segretario
generale era Michail Gorbaciov e il clima era alquanto diverso. Ne
avemmo una prova quando scoprimmo che la Literaturnaja Gazeta ,
autorevole organo della Unione degli scrittori, era stata autorizzata a
pubblicare il testo della conferenza di Stoccolma.