Corriere 26.1.16
Cara agli uomini più che ai teologi
Il culto di Maria resiste al tempo
di Ranieri Polese
Come
uscire dal lungo Inverno mariano, dal grande freddo che ha colpito,
nella stessa Chiesa cattolica, il culto della Vergine Maria e che ha
messo tra parentesi la devozione per la Madre di Gesù? Questa domanda è
un po’ il filo conduttore degli oltre 60 capitoli di Ipotesi su Maria di
Vittorio Messori, il volume, edito da Ares, che è la nuova edizione
ampliata del libro uscito sempre da Ares dieci anni fa. Nasceva, allora,
il libro come raccolta dei Taccuini mariani scritti da Messori per il
mensile «Jesus». Terminata la collaborazione con la rivista, Messori non
ha smesso di interessarsi alla questione mariana, come testimoniano
anche i recenti libri o gli articoli del «Corriere». Un interesse che si
accompagna con la polemica: il bersaglio è quello che Messori chiama il
«teologicamente corretto», cioè i «cattolici adulti» per niente in
sintonia con gli ultimi due dogmi (l’Immacolata concezione, 1854;
l’Assunzione, 1950) e scettici verso la devozione popolare, specie
riguardo alle apparizioni mariane, ai miracoli, alle guarigioni.
Alla
base di questa posizione critica, Messori vede «un contagio
protestante». Cioè la volontà di conformarsi al pensiero dei teologi
riformati nell’idea — per Messori falsa — di conciliare religione e
modernità. Le Chiese riformate, come è noto, oltre a condannare la
venerazione dei santi come paganesimo, non solo rifiutano i dogmi
dell’Immacolata e dell’Assunzione, ma considerano il culto di Maria una
sorta di pericolosa idolatria. Del resto — in Ipotesi su Maria la
citazione ritorna spesso — il più importante teologo protestante, Karl
Barth, definiva la mariologia «escrescenza tumorale del cattolicesimo».
Ma il neoprotestantesimo diffuso fra i cattolici all’indomani del
Concilio Vaticano II ha, per Messori, anche il difetto di arrivare a
tempo scaduto, quando cioè «le comunità protestanti storiche sono
morenti, fornite di cattedre universitarie ma quasi del tutto prive di
popolo».
Parla, Messori, da «cattolico normale», libero dai
complessi di inferiorità. È un credente, ma conosce e discute le idee
dei critici che rileggono i testi evangelici alla luce della scienza e
distinguono il Cristo storico dal Cristo della fede. In polemica con i
protestanti, lui non considera solo la Scrittura, ma anche la tradizione
importantissima proprio per quanto riguarda Maria. Parla a nome dei
«semplici cattolici attardati, legati ancora a miti e favole che la
scienza ha dissolto».
Per questo, interessato a ritrovare il
calore della fede popolare (la vecchina che recita il rosario), dedica
gran parte delle sue pagine alle apparizioni e ai santuari sorti dove la
Vergine si è manifestata. Lourdes, Fatima, ma anche la parigina Rue du
Bac (qui la Madonna parlò a Catherine Labouré nel 1830, chiedendole di
far forgiare una medaglia con la sua immagine e dodici stelle), La
Salette, Saragozza, dove si venera la Madonna del Pilar (a un suo famoso
miracolo Messori ha dedicato un libro). Santuari che la Chiesa ha
riconosciuto, anche se recentemente — prima e dopo Medjugorje — si
moltiplicano le apparizioni su cui la Chiesa non si è ancora
pronunciata.
In tutti questi luoghi, osserva Messori, coloro che
vedono la Madonna sono persone umili, i pastori di Fatima, la
poverissima Bernadette: a volte sono semianalfabeti. Ma dove la
sociologia vede allucinazioni provocate dal disagio, Messori vede la
conferma del versetto in cui Gesù dice: «Ti benedico Padre, perché hai
tenuto nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli».
Su
Lourdes Messori si sofferma a lungo. Ripercorre la storia delle
apparizioni (1858) e delle critiche che comunque non hanno scalfito la
reputazione del santuario, dedica molte pagine alla figura di Bernadette
Soubirous e al crescente numero di pellegrini che fin da subito si
recarono alla grotta dei Pirenei nonostante l’ostilità delle autorità e
dell’opinione pubblica francese, anticlericale e incline a leggere quei
fatti come visioni di una povera isterica. Spiega la complessa procedura
per riconoscere un miracolo (ufficialmente sono 65), senza dimenticare
le migliaia di guarigioni attestate, anche se non rientrano nel numero
ristretto di avvenimenti inspiegabili scientificamente. Ci parla di
Fatima (1917), dei tre pastori, del miracolo del sole che danza, dei tre
segreti l’ultimo dei quali — un’allusione all’attentato al Papa — fu
rivelato proprio a Giovanni Paolo II, sopravvissuto ai colpi sparati da
Ali Agca. Ci sono poi altri santuari, piccoli e non, luoghi dove andare
non solo per chiedere una grazia, ma per compiere un’esperienza che in
qualche modo ci invita alla preghiera, a una sorta di guarigione
interiore.
Da una ricerca sulla religiosità degli italiani
realizzata dall’Università Cattolica di Milano con il sostegno della Cei
(l’ha pubblicata Mondadori nel 1995) su un campione di 4.500 italiani,
fra i 18 e i 74 anni, in 166 comuni della penisola, risulta che il 55,7
per cento degli interpellati ritiene che le apparizioni della Madonna a
Lourdes e Fatima «sono segni della presenza di Dio in mezzo agli
uomini», mentre il 29,4 si dichiara incerto, ma possibilista. Se si
confrontano questi dati con le risposte ad altri quesiti (la
resurrezione dei morti: solo il 27,5 per cento ci crede; la Chiesa
cattolica è un’organizzazione voluta e assistita da Dio: il 41,5 dice
sì), non si può non vedere l’importanza del culto mariano nella
popolazione italiana. Del resto, sempre la stessa indagine ci dice che
il 46,8 per cento degli italiani nelle sue preghiere si rivolge alla
Madonna, e solo il 38,2 a Cristo. Da qui, dunque, parte il «suggerimento
pastorale» di Messori alla Chiesa: «Perché non far leva proprio sulla
straordinaria fiducia che la gente (giovani compresi) ripone nella
verità di luoghi come Fatima e Lourdes? Perché non partire da lì per una
rievangelizzazione che potremmo dire “deduttiva”: dalla realtà di quei
fatti, cioè, alle verità di fede che presuppongono e che confermano ?».