lunedì 25 gennaio 2016

Corriere 25.1.16
Un Islam disunito non può battere l’Isis
risponde Sergio Romano

Le faccio una domanda breve: com’è possibile che Siria e Iraq (soprattutto la Siria) con eserciti che comprendono decine di migliaia di soldati, dotati di armamenti moderni e di aviazioni che sono dotate di aeromobili di ultima o penultima generazione, non riescano ad avere ragione dei tagliagole dell’Isis, numericamente inferiori, in uomini e mezzi?
Lamberto Gori

Caro Gori,
Occorre anzitutto una premessa. I conflitti medio-orientali, in questo momento, non sono mai esclusivamente politici e territoriali. Sono anche, contemporaneamente, religiosi. Il grande revival musulmano degli ultimi decenni ha avuto l’effetto di riattizzare il fuoco, mai completamente spento, dell’antica faida tra sunniti e sciiti sulla legittima discendenza del Profeta. Può accadere quindi che due forze si combattano per l’esercizio del potere ma abbiano, ciascuna nel proprio campo, una componente religiosa, diversa da quella del gruppo dirigente, per la quale i legami confessionali sono più importanti del rapporto di cittadinanza.
È il caso della Siria dove il presidente Bashar Al Assad può contare sulla fedeltà dei suoi confratelli alauiti (una branca della grande famiglia sciita), ma deve guardarsi le spalle dai suoi cittadini sunniti. Era il caso dell’Iraq di Saddam Hussein, dove il dittatore poteva contare sulle tribù sunnite, ma doveva tenere a bada la maggioranza sciita.
L’Isis è indubbiamente una feroce organizzazione terroristica, ma è sunnita e può contare sulla simpatia, se non addirittura complicità, delle potenze sunnite, soprattutto quando si batte contro un nemico sostenuto direttamente o indirettamente dal regime sciita di Teheran. Abbiamo assistito così, in questi ultimi tempi, a situazioni che sono per noi paradossali. La Turchia combatte il terrorismo curdo all’interno dei propri confini, ma ha chiuso gli occhi per molto tempo sui volontari islamisti (i foreign fighters ) che attraversavano la frontiera turco-siriana per andare a combattere contro gli alauiti di Bashar Al Assad.
L’Arabia Saudita sostiene che l’Iran «esporta terrorismo» (lo ha detto ancora una volta il 21 gennaio con un articolo del suo ministro degli Esteri apparso sull’ International New York Times ), ma non ha fatto mancare la sua assistenza ad alcuni esponenti dell’estremismo sunnita. Il governo sciita iracheno ha un evidente interesse a combattere l’Isis sul proprio territorio, ma a Mossul, nell’estate del 2014, non ha potuto contare sui quadri sunniti del suo esercito.
Sono queste, caro Gori, le ragioni per cui eserciti relativamente moderni e bene armati non sono ancora riusciti a neutralizzare le formazioni dell’Isis in Iraq e in Siria.
La situazione cambierebbe forse se un incontro al vertice fra religiosi sunniti e sciiti proclamasse al mondo che l’Isis è il nemico di tutti.