lunedì 25 gennaio 2016

Corriere 25.1.16
La Germania senza colpa di Heidegger
di Frediano Sessi

Nel riscrivere buona parte di alcuni capitoli del suo importante saggio Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri» per la nuova edizione appena uscita (Bollati Boringhieri, pagine 367, e 20), Donatella Di Cesare si rivolge al lettore in modo appassionato: «Spero che questo libro venga giudicato solo dopo essere stato letto davvero sino alla fine». E aggiunge, quasi a citazione di un pensiero che Primo Levi aveva consegnato al suo saggio I sommersi e i salvati : «In questo tempo la complessità è mal sopportata». Levi, che dovrà lottare contro grumi e mucchi di fraintendimenti, scriveva che se il nostro desiderio di semplificazione è giustificato, «la semplificazione non sempre lo è». Lui era arrivato a porre l’attenzione sulla condizione della vittima che collabora al male, rifiutando ogni visione manichea delle parti in causa nei lager.
Con il saggio Heidegger e gli ebrei , l’autrice si allontana da facili giudizi o ricostruzioni storiche, anche dotte, dell’opera heideggeriana che hanno animato il dibattito di questi anni. Proprio lo scavo in profondità è l’essenza del lavoro della Di Cesare. E qui, complessità e approfondimento non vogliono dire difficoltà di lettura, o linguaggio oscuro. Il saggio della filosofa romana (allieva di Hans-Georg Gadamer ed ex vicepresidente della Martin Heidegger-Gesellschaft, l’associazione tedesca dedicata al filosofo) è di grande leggibilità e chiarezza. Tanto che si presta a una lettura agevole sia da parte di giovani e insegnanti non specialisti; sia da parte di coloro che si propongono lavori di ricerca.
Magistrale l’analisi dei rapporti tra il Mein Kampf di Hitler, ora ripubblicato anche in Germania, e i suoi echi e fondamenti filosofici e politici, da cui emerge un razzismo non solo biologico, ma culturale; importante e acuta la discesa nel pensiero filosofico tedesco e i suoi legami con l’antisemitismo. Senza equivoci poi le parole sulla posizione di Heidegger: «Fa corpo con il popolo tedesco. Non c’è traccia di distanza, neppure di fronte alle prove dei crimini». Siamo nel capitolo del libro intitolato «Dopo Auschwitz». Donatella Di Cesare è ferma nel sostenere che c’è una evidente continuità tra i Quaderni neri heideggeriani (vale a dire gli appunti personali del filosofo tedesco) e la sua opera. Ed ecco uno dei punti di snodo: l’antisemitismo di Heidegger è più che altro metafisico, ontologico (vale a dire all’origine delle cose, radicale). L’ebreo sarebbe estraneo alla storia dell’Occidente, una specie di artefatto che costituisce un impedimento alla storia dell’Essere. In concreto, per Heidegger gli ebrei sono un nulla e allo stato del nulla vanno riportati, anche senza dignità, senza rito funebre, senza sepoltura, facendo scomparire i loro cadaveri, come fecero in concreto i nazisti, non mai accusati di errore e orrore da Heidegger.
Auschwitz allora che cosa è se non la fabbrica dei cadaveri, l’elogio della tecnica della distruzione? Proprio qui, Heidegger vede nello sterminio una sorta di autoannientamento. La Shoah avrebbe allora un ruolo decisivo nella storia dell’Essere, perché, coincidendo con il compimento della tecnica, consuma se stessa e l’ebreo che ne è il motore. Da parte di Heidegger non ci sono colpe da dichiarare, perché in realtà sono i tedeschi le vittime, «contro di loro è stato compiuto il vero incommensurabile crimine». «Nessuna pietà né del pensiero né del sentire», perché ancora non si guarda «alle vere vittime che si sono offerte in sacrificio per la salvezza dell’Occidente». Heidegger si chiama così fuori da ogni responsabilità e chiama fuori il popolo tedesco, per lui vera vittima della vergogna e dell’infamia.