domenica 24 gennaio 2016

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La legge morale nei nostri neuroni
di Nico Pitrelli

Kathinka Evers è una filosofa svedese, esperta di neuroscienze, il cui percorso non è facilmente inseribile negli schemi della tradizione accademica. Studiosa di logica e fisica, ha poi ampliato il suo interesse alla zona di confine tra scienze del cervello, filosofia morale, etica e sociologia, con un’influente attività di ricerca espressa anche in un articolo-manifesto del 2015 apparso sul magazine letterario 3:AM, simbolo della controcultura londinese degli anni Zero.
La neuroetica è una giovane disciplina, che da un lato indaga e riflette sulle implicazioni etiche e giuridiche della ricerca neuroscientifica, dall’altro mira a comprendere le basi cerebrali dei comportamenti morali. Il peso della filosofa svedese in questo campo deriva dalla sua carica di co-direttrice dello Human Brain Project (Hbp), una delle più ambiziose iniziative di neuroscienze mai intraprese a livello mondiale. Selezionato dalla Commissione europea nel 2013 tra i due progetti “faro” su cui l’Unione ha deciso di investire più di un miliardo di euro fino al 2023, l’Hbp ha lo scopo di simulare attraverso un supercomputer il funzionamento completo del cervello umano, un obiettivo scientifico e tecnologico mastodontico.
«È ovvio immaginarsi che tipo di interrogativi susciterà un cervello umano simulato, se mai verrà realizzato», afferma la studiosa dell’Università di Uppsala. «Essi riguarderanno la sfera personale, sociale ed etica (ad esempio, si può “uccidere” un cervello simulato, interrompendone il funzionamento, in un modo pertinente sul piano morale?)». La neuroetica avrebbe gli strumenti concettuali per disinnescare il rischio di trasformare gli ambiziosi progetti sul cervello in potenziali minacce e paure per gli individui e la collettività, presunte o reali che esse siano.
Ma, spiega a pagina99 Stefano Canali, filosofo delle neuroscienze alla Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) di Trieste, «siamo ancora molto lontani dall’avere a disposizione cervelli sintetici. Le simulazioni dell’Hbp potranno riguardare a breve meccanismi fisiologici precisi o specifici disturbi neurologici. Altra cosa è usare queste macchine per comprendere i comportamenti morali». Un’ambizione che si scontra con un nodo filosofico di fondo: il fatto che, continua Canali, «per realizzare le nostre esperienze coscienti e soprattutto mediare le azioni morali, il cervello ha bisogno di un corpo e di poter interagire con altri individui, abitando e allo stesso tempo costruendo e modificando insieme ad essi uno spazio di simboli e valori».
È un aspetto che il progetto europeo del supercomputer sottovaluterebbe, secondo lo studioso italiano, ma che rappresenta efficacemente la direzione in cui, secondo Evers e colleghi, si dovrebbero dirigere più incisivamente gli sforzi di ricerca nei prossimi anni: verso la neuroscienza dell’etica, un’area dove i dati neurologici e la riflessione filosofica s’incontrino su temi fondamentali come il libero arbitrio, l’autonomia, l’autocontrollo, la responsabilità, il conflitto tra ragione ed emozione.
Quali sono le basi neuronali del nostro senso morale? Come funziona il nostro cervello quando eseguiamo atti che associamo alla libera scelta? Sono interrogativi che hanno trovato diritto di cittadinanza scientifica grazie agli sviluppi delle neuroscienze. «Gli studi sul cervello», afferma Canali, ideatore e organizzatore di una scuola di formazione in neuroetica, tra le poche strutturate in quest’ambito nel nostro paese, «hanno dimostrato che linguaggio, memoria, emozioni, percezioni, controllo volontario del comportamento sono sistemi funzionali semi-indipendenti tra di loro, seppur integrati. La dissoluzione dell’integrità dell’Io rende assai problematica l’indagine sulla natura e il funzionamento dell’agente morale. A quale parte della nostra mente dobbiamo attribuire la responsabilità morale? Ad esempio è possibile che una lesione o una malattia, ma anche eventi traumatici o stress protratti, compromettano i sistemi cerebrali che permettono il controllo volontario del comportamento. In questo caso, gli altri apparati funzionali possono continuare a operare normalmente, compreso quello che media le reazioni emotive». Può così accadere che un comportamento «impulsivo, violento o immorale, non venga frenato anche quando la persona riconosce la sua inadeguatezza e desidera inibirlo».
Le neuroscienze attuali stanno dimostrando che gli eccessi di stimoli, i sovraccarichi di microscelte, il multitasking, sembrano erodere il controllo volontario del comportamento e le capacità empatiche, mettendo costantemente a rischio le nostre competenze morali. Si pensi ad esempio alle moltiplicazioni delle interazioni digitali, all’overload informativo sul web, alle sollecitazioni appetitive a cui siamo sottoposti nei corridoi di qualsiasi supermercato. Sono tutti processi che richiedono al cervello dosi cospicue di risorse computazionali e anche tempi congrui di elaborazione. Oggi però è richiesta anche una velocità di analisi che può interferire con le modalità con cui interpretiamo i segnali emotivi propri e altrui. I sovraccarichi cognitivi, dunque, possono farci agire in modo eticamente problematico: ad esempio non prestando aiuto a qualcuno in difficoltà, manifestando apertamente un pregiudizio, agendo in modo esclusivamente utilitaristico e con questo causando danno ad altri.
La neuroetica a questo proposito sottolinea come gli studi sperimentali stiano rivalutando in termini scientifici il peso della società nella responsabilità etica personale. A rinnovare profondamente e rendere dirompenti gli interrogativi sul libero arbitrio è stato poi soprattutto lo sviluppo delle cosiddette tecniche di neuroimaging, in grado di misurare la relazione tra attività di determinate aree celebrali e specifiche funzioni.
In Italia, negli ultimi anni, diversi testi hanno affrontato questi temi. Tra essi si possono segnalare Neuroetica. La morale prima della morale, edito da Raffaello Cortina nel 2008 e scritto da Laura Boella, filosofa dell’Università di Milano, e più recentemente Lo spazio della responsabilità, pubblicato nel 2015 da Il Mulino e curato da Marina Lalatta Costerbosa dell’Università di Bologna. Sono opere in cui si invita alla prudenza quando ci si trova di fronte ai risultati che provengono dalle tecniche di neuroimmaginie e che invocano una convergenza di saperi e competenze plurali.
Approccio in linea con l’appello generale del manifesto di Evers che chiama a una necessaria interdisciplinarietà di cui la neuroetica dovrebbe farsi portavoce, sia «per contribuire a una migliore definizione degli oggetti della ricerca, sia per rendere indagabili i problemi che la filosofia affronta da millenni soltanto in modo astratto», conclude Canali.