Corriere 23.1.16
The Eichmann Show
Il ruolo storico della
tv nel «processo del secolo»: le dirette sul gerarca nazista fecero
capire al mondo gli orrori della Shoah
di Aldo Grasso
Che
ruolo hanno avuto la radio e la tv sulla comprensione della Shoah, in
Israele e nel mondo? Per molti israeliani il processo Eichmann (aprile
1961), le cui udienze furono trasmesse in diretta, fu il primo contatto
ravvicinato con l’Olocausto. In precedenza il loro approccio era stato
caratterizzato da una incomprensione di fondo sull’ampiezza della
tragedia e sulla terribile esperienza vissuta dai superstiti.
Quell’evento, raccontato per la prima volta dalla tv, rappresentò una
svolta nella memoria collettiva.
Il processo ad Adolf Eichmann fu
un momento drammatico per Israele e non solo. Basti pensare ai resoconti
che Hannah Arendt scrisse per il New Yorker (raccolti poi nel libro La
banalità del male ) dove si sosteneva la «terribile normalità» della
burocrazia nazista, capace di commettere le più grandi atrocità che il
mondo avesse mai visto in nome di una cieca obbedienza. Il Male che
Eichmann incarnava appariva alla Arendt «banale», e perciò tanto più
terribile, perché i suoi servitori erano grigi impiegati.
Il film
The Eichmann Show racconta appunto il ruolo che la tv ebbe nell’elevare
questo processo a una sorta di presa di coscienza collettiva (è anche un
piccolo trattato sulle riprese tv). Merito del produttore televisivo
Milton Fruchtman (Martin Freeman), che chiamò Leo Hurwitz (Anthony
LaPaglia) per occuparsi delle riprese. Hurwitz, regista molto amato
dalla critica e pioniere nell’uso delle telecamere, era finito nella
«lista nera» di McCarthy ed era rimasto inattivo per un decennio.
Arrivando a Gerusalemme, si trovò per le mani un lavoro fuori dal
normale: con l’aiuto di Milton, in tempi ristrettissimi dovette
addestrare un team di riprese formato da professionisti inesperti e
convincere i giudici a cambiare decisione, permettendo che il processo
venisse ripreso.
Mentre in Israele la trasmissione andava in
diretta, per gli altri Paesi fu approntato un sistema di distribuzione
di «cassette», con le prime registrazioni fatte attraverso il sistema
Ampex, un nastro da due pollici non facile da montare. Ben 37 Paesi (tra
cui Usa, Francia, Inghilterra, Australia, Argentina…) vollero mandare
in onda quelle registrazioni. Soprattutto in Israele, la tv svolse un
ruolo catartico, liberatorio: di fronte allo shock delle immagini, la
popolazione si confrontò con se stessa e soprattutto con i
sopravvissuti.
I «salvati» non avevano voglia di parlare, non
amavano raccontare la loro terribile esperienza, anche perché avevano la
sensazione di non essere creduti. Gli scampati alla Shoah si coprivano
con la camicia i numeri impressi a fuoco sulle braccia. Si sentivano
«ebrei sconfitti» al confronto dei «pionieri» che apparivano invece come
«ebrei vincenti». Queste anime così diverse che avevano vissuto la
tragedia in maniera tanto dissimile riuscirono in un’aula di tribunale a
esprimere insieme, per la prima volta dal 1948, un vero spirito
unitario. Ci vollero quelle immagini televisive perché anche gli «altri»
cominciassero a credere.
Da allora, la tv, non diversamente dal
cinema, ha assunto sempre più la duplice veste di fonte e strumento di
narrazione storica. Se il Novecento è stato definito il secolo «della
testimonianza», questo si deve alla sempre più massiccia e pervasiva
presenza dei mezzi di comunicazione di massa che affiancano, registrano
e, talvolta, si pongono al centro della vita politica e culturale delle
società tardomoderne. Dal processo Eichmann, la tv diventa il luogo di
dispiegamento — reale, simbolico o meramente retorico — dei fatti
storici, che non possono sottrarsi all’occhio della pubblica visibilità
(sebbene, ovviamente, il mito della visibilità totale lasci fuori ampi
coni d’ombra). Le trasmissioni televisive cominciano a incidersi nella
memoria collettiva, raggiungendo una grandissima audience, intervenendo
direttamente sul contesto in cui la storia stessa si realizza. La tv
diventa «agente di storia».
The Eichmann Show ci fa rivivere i
quattro mesi del processo e la difficoltà delle riprese, anche dal punto
di vista morale. Spesso l’etica (mostrare anche le fasi più noiose del
dibattimento) si scontrò con l’estetica: drammatizzare il male
attraverso i primi piani dell’imputato. Ma quelle immagini scioccarono
il mondo per l’evidente mancanza di rimorso del colpevole. L’80% della
popolazione tedesca guardò almeno un’ora del programma ogni settimana.
Il processo venne trasmesso su tutte e tre le reti statunitensi, con
notiziari quotidiani in altri Paesi. Ci furono persone che svennero
guardando il processo in tv. Intanto, in quei mesi, la tv si doveva
anche occupare di Yuri Gagarin primo uomo nello spazio, della baia dei
Porci, di Alan Shepard, il primo americano in orbita… Quanto alla tv
italiana, si celebra il centenario dell’Unità d’Italia e nasce «Tribuna
politica».
Oggi, grazie a un accordo tra gli Archivi di Stato
Israeliani, lo Yad Vashem di Gerusalemme (il principale museo dedicato
al ricordo dell’Olocausto) e Google, molte delle riprese televisive
realizzate durante il processo sono visibili su YouTube. Tocca a
Internet assumere ora il ruolo che in passato è stato mirabilmente
svolto dalla televisione.