Corriere 20.1.16
Ira della sinistra per le parole di Verdini
Veltroni: Pd snaturato, lui un’altra cosa
Speranza: il partito non è una loggia
L’ex coordinatore di FI: nella minoranza tanti Lenin
di M. Gu.
ROMA
L’effetto «V», dal nome di Denis Verdini, ha fatto saltare di nuovo i
nervi alla minoranza del Pd. È bastata una parola, poi smentita, a
scatenare le reazioni della sinistra, che teme l’ingresso del senatore
ex berlusconiano e la nascita del partito della nazione. Operazione
sgradita anche a Walter Veltroni, primo segretario del Pd, che arriva a
parlare del suo partito alludendo a Zelig di Woody Allen. Ha detto a
Otto e mezzo su La 7: «Il Pd non doveva snaturare se stesso. È un
programma, un sistema di valori e se si crede in questo non c’è bisogno
di cercare chi è talmente diverso da essere difficilmente compatibile.
Verdini? Per la sua storia e le sue scelte politiche è altra cosa».
Due
giorni fa, rispondendo a Stefano Folli durante la presentazione del
libro di Massimo Parisi Il patto del Nazareno , il leader di Ala ha
detto che alle prossime elezioni politiche il suo movimento non sarà
«una componente del Pd, ma una cosa che si affianca». Le agenzie di
stampa hanno trascritto «una cosa che si affilia» e l’uso del termine ha
scatenato una bufera. «Affiliarsi è una parola che non mi piace — ha
reagito Roberto Speranza —. A Verdini voglio ricordare che il Pd è un
partito. Non una loggia. A un partito ci si iscrive o con esso si fa
un’alleanza. E per il Pd credo che nessuna delle due cose sia
auspicabile».
Il senatore, che ha stretto con Renzi un patto sulle
riforme, ha smentito di aver mai usato la parola incriminata, eppure la
tempesta non è scoppiata dentro un bicchier d’acqua. Il problema, per
la minoranza pd, non è solo l’evocazione di una terminologia massonica,
ma la marcia di avvicinamento di Verdini al Pd. «È necessario che
qualche esponente nazionale del Pd smentisca questa “affiliazione” in
modo categorico — avverte il presidente della Toscana, Enrico Rossi —.
Per tante ragioni ideali e per il fatto che, così dicendo, Verdini ci fa
perdere consensi a sinistra».
L’ex coordinatore di FI, che fu
garante del patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, assicura di non
aver mai usato il termine «affiliazione» («Ho semplicemente parlato
della possibilità di “affiancare”») e invia alle agenzie le trascrizioni
del suo intervento. «Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire»,
commenta. E attacca la minoranza pd: «La ricerca spasmodica di ciò che
non esiste altera la realtà e alimenta le dichiarazioni di quegli
esponenti politici capaci solo di mestare nel torbido». La polemica però
non si ferma. L’ex responsabile Giustizia dem, Danilo Leva: «Caro
Verdini, il Pd non è una loggia ma un partito. Ci si entra in base a una
comunanza di valori e non di interessi». E Davide Zoggia, deputato
vicino a Bersani: «Se Verdini si affilia al Pd, il Pd non esiste più, è
una ipotesi contro natura». Al di là delle allusioni della minoranza ai
problemi giudiziari di Verdini e compagni, è chiaro che a turbare i loro
sonni è la strategia di Verdini e soprattutto quella di Renzi. Cosa
succederà alle prossime elezioni? Il Pd sarà ancora un partito che si
richiama ai valori socialdemocratici, o sarà invece un «partito
pigliatutto»? Verdini dichiara che si presenterà con le sue insegne,
eppure aggiunge che Ala sarà determinante e garantirà sostegno al
governo su tutte le «riforme liberali». Il suo progetto comincia a
delinearsi: «Possiamo andare per conto nostro, raggiungere una
percentuale, portare a casa parlamentari che ragionano più come Renzi
rispetto a una sua eventuale sinistra, che si formerebbe senz’altro...».
Ieri
sera, rivolgendosi a Speranza e ai «tanti piccoli Lenin» che lo hanno
attaccato, Verdini ha restituito le attenzioni ricevute: «Ai politici e
alle famose “veline” che non perdono occasione per attaccare il
sottoscritto, dunque, consiglierei sì una affiliazione, ma a una terapia
di gruppo». Lo scontro è solo all’inizio .