Corriere 20.1.16
L’incubo della non vittoria per i grillini a roma
di Goffredo Buccini
Uno
smacchiatore di giaguari s’aggira negli incubi grillini. Ricordate la
mitica non vittoria di Bersani? Man mano che il traguardo s’avvicinava,
al sicuro anzi sicurissimo trionfatore delle politiche 2013 venne il
braccino del tennista davanti al match point e a scaldargli la campagna
elettorale rimasero solo le gag di Crozza («ohè ragassi , mica siam qui a
smacchiare i giaguari!», appunto). Il buon Pier Luigi non perse ma
neppure vinse e, volendo rabberciare ad ogni costo un’alleanza per
Palazzo Chigi, finì con l’umiliarsi (invano) in diretta strea ming
davanti ai capigruppo dei Cinque Stelle neoeletti in Parlamento.
Capita
che la storia si riproponga come nemesi. Così ecco che, nemmeno tre
anni dopo, i grillini partono da vincitori certi, anzi certissimi, nella
corsa al Campidoglio, il podio più importante delle amministrative di
primavera, chiaro anticipo di tendenza per le politiche che si terranno
nel 2018 (o prima). Dopo il disastroso quinquennio del centrodestra di
Alemanno e il tragicomico biennio del centrosinistra di Ignazio Marino,
sembra plausibile che i romani provino altro. Marcello De Vito, già
sconfitto da Marino nel 2013, lo dice in tv da Lucia Annunziata con
quello stile naïf che forse stranisce il sofisticato Casaleggio: «Ai
cittadini chiediamo una chance perché… l’hanno data a tutti». Logico,
no? A fine ottobre i sondaggi li piazzavano al 33 per cento, col Pd al
17.
Ma, si sa, resta quel dannato ultimo miglio, dove prima di
Bersani si perse il maratoneta Dorando Pietri. Ora la maionese
impazzisce proprio nelle poche amministrazioni locali in mano ai
grillini (fa eccezione il virtuoso Pizzarotti che però è fumo negli
occhi per lo stato maggiore): la traballante Livorno di Nogarin è un
blando antipasto. I guai di Gela col sindaco Messinese un intermezzo. Il
piatto avvelenato è naturalmente Quarto, paesone napoletano sciolto per
mafia e passato ai Cinque Stelle in cerca d’aria nuova. Giorno dopo
giorno i verbali della sindaca Capuozzo (sotto ricatto del collega De
Robbio intrugliato, secondo i pm, coi camorristi) tracimano sull’ala
campana del direttorio grillino (Fico in primis , sapeva o non sapeva?).
E il video in cui Fico, Di Maio e Di Battista giurano che i vertici del
Movimento nulla sapevano è forse il più grave errore di comunicazione
nella storia pentastellata: l’«effetto tre scimmiette» riempie i
commenti della stampa, si sa, malevola.
Così tutte le rogne
portano a Roma. Dove già i problemi non mancano. I quattro moschettieri
della passata consiliatura sarebbero, di diritto, i più titolati a
contendersi l’onore di correre da sindaco, avendo fatto battaglia
d’opposizione per due anni e dato a Marino agonizzante l’ultimo colpo
con lo scandalo degli scontrini.
Ma quando vanno da Lucia
Annunziata mostrano tutti i limiti locali dei grillini. Davanti a una
prof pignola, sembrano stagisti volenterosi, «abbiamo studiato due
anni»: visione, zero. Comincia poi, sempre beninteso sulla stampa
malevola, l’antico giochino delle correnti tra chi appoggia la più
quotata Virginia Raggi (Di Battista?) e chi il tenace De Vito (Di
Maio?). Un Casaleggio sconcertato chiede (secondo Repubblica ) a Grillo
di metterci la faccia, «o rischiamo Roma». I segnali si moltiplicano:
serve un candidato forte. E mentre Renzi, inseguendo un clamoroso
recupero, estrae dal cilindro del Pd il più grillino dei candidati
possibili, l’ex radicale Roberto Giachetti, avvezzo al corpo a corpo
politico tanto caro ai Cinque Stelle, i grillini si preparano a
selezionare via web l’aspirante sindaco tra 233 profili. «Sarà di certo
uno di noi quattro», sussurrava De Vito mesi fa. Non a torto.
Sconfessare la pattuglia che ha fatto opposizione a Marino sarebbe una
Quarto bis, non dal punto di vista giudiziario, certo, ma politico: una
nuova ammissione d’incapacità nella scelta delle élite locali. Roma ci
dirà molto, insomma, sul futuro di Pd e Cinque Stelle (e dunque sul
nostro): per questo certe notti sono così agitate da giaguari e
fantasmi.