martedì 19 gennaio 2016

Corriere 19.1.16
Dai greci a Picasso
Così muscoli e nervi conquistarono l’arte
Nel Quattrocento i pittori diventano anatomisti
di Pierluigi Panza

Con il corpo (umano) l’arte ha instaurato da sempre un serrato «corpo a corpo». Si è messa a disegnarlo, inciderlo, scolpirlo per capire come fosse fatto. L’ha scrutato, misurato, analizzato, tirato per i capelli accentuandone l’espressività, oppure idealizzandolo o mostrandolo con crudo realismo.
Gia 2.500 anni prima di Cristo, con la statua in diorite del faraone Chefren, del corpo umano l’arte mostrava la perfetta simmetria: tutte le membra del faraone sono identiche, immobili, allineate al corpo. Nell’arte greca si cambia. Il corpo umano viene idealizzato perché è immagine degli dei. Il Doriforo di Policleto (450 a.C.) mostra tutta l’armonia dei suoi muscoli, che muovono gli arti senza sforzo in un’immagine di «nobile semplicità e quieta grandezza», come avrebbe sentenziato Winckelmann. Qualcosa di analogo troviamo nei Bronzi di Riace, in quel che il panneggio lascia trasparire del corpo della Nike di Samotracia, e lo riscopriremo solo nel primo Michelangelo.
Nell’arte bizantina e poi cristiana il corpo, quello di Cristo, è costruito in maniera statica, bidimensionale (ad eccezione di Giotto) e, talvolta, sproporzionata, poiché il Realismo, qui, è al servizio del messaggio ultraterreno che la sofferenza del Verbo incarnato deve trasmettere. Ma, visto che il corpo può trasmettere messaggi, gli artisti toscani del Due-Trecento vanno oltre l’imitazione e disegnano figure che trasmettono anche sentimenti: L’Annunciazione di Simone Martini agli Uffizi ne è un esempio, così come la Strage degli Innocenti di Giotto alla Cappella degli Scrovegni di Padova o, ancora, la Cacciata dal Paradiso terrestre a Santa Maria del Carmine a Firenze di Masaccio.
Nel corso del Quattrocento, gli artisti studiarono il corpo con metodo geometrico per rappresentarlo correttamente. Piero della Francesca cercò di individuare i rapporti matematici che intercorrono tra le diverse parti, schizzò teste piene di numeri per calcolare le esatte distanze tra ciglia, naso, occhi, bocca. Il corpo umano divenne con loro la «misura di tutte le cose», una specie di righello universale per misurare la natura. Con le prime pubblicazioni a stampa dei trattati sull’arte di Leon Battista Alberti venne anche ritirato fuori dagli scrittori un modello archetipo: il cosiddetto «Uomo vitruviano», un corpo umano a gambe e braccia aperte iscritto in un cerchio e in un quadrato. Questo uomo misura di tutte le cose fu ripreso da Leonardo da Vinci, il quale, però, non si accontentò di conoscere le esatte misure esterne: volle vedere dentro. Con lui, e con altri, l’artista divenne così anatomista, si mise a sezionare i cadaveri, a studiare nervi e muscoli per saperli ridisegnare con un fine specifico: trasmettere le emozioni dell’animo umano attraverso le sfumature del corpo. Caravaggio espresse al massimo questo modo di usare i corpi. Poi vennero le tavole della fisiognomica, dove l’immagine esterna di un volto fu ritenuta espressione del carattere dell’individuo e le prime tavole dei veri e propri anatomisti, che sembrano, però, tavole di grandi artisti, come quelle di Vesalio.
Le Avanguardie artistiche del '900 sottoporranno il corpo a uno stretching : per capirne le potenzialità lo deformano, lo allungano ( La danza di Henry Matisse) lo scomposero e lo spezzarono con Picasso. Oggi, abbandonato il valore della mediazione estetica, il corpo dell’artista è diventato la sua tela: la body-art non mette più in gioco il rapporto con la rappresentazione. Qui, il corpo a corpo riguarda solo il corpo stesso dell’artista: tagliuzzatelo, pitturatelo, fategli del male… vedrete le reazioni.