Corriere 18.1.16
I controlli di Bankitalia e quei no dell’Etruria
Lo stop di Palazzo Koch alle nomine indicate dai faccendieri, i rilievi della Vigilanza ignorati ad Arezzo
Così si sono deteriorati i rapporti tra Via Nazionale e l’istituto. Adesso sono in arrivo nuove sanzioni
di Mario Gerevini
MILANO
La mossa era piuttosto azzardata, quasi temeraria. Portare il manager
Fabio Arpe alla guida operativa di Banca Etruria. Estate 2014, il nome
del potenziale futuro direttore generale uscì dalla bocca di Flavio
Carboni e venne portato avanti dal presidente dell’Etruria, Lorenzo
Rosi, e dal vicepresidente Pier Luigi Boschi. «Ma non ci fu mai proposto
in consiglio di amministrazione», afferma uno degli amministratori in
carica al tempo. Infatti la candidatura non fece molta strada (dg sarà
nominato ad agosto 2014 Daniele Cabiati), giusto il tragitto, informale,
verso Banca d’Italia, tanto per capire che aria tirava. Aria pessima.
Boschi e Rosi innestarono la retromarcia e il nome fu ritirato. Ma fece
in tempo a uscire sui giornali tanto che fu scritto che il cda
dell’Etruria appariva diviso sulla scelta del direttore generale.
L’episodio non favorì la relazione ormai di reciproco sospetto tra
l’Etruria, già in caduta libera, e la banca centrale di Roma.
Le spinte per la fusione
Rapporti
tesi da anni. Talvolta una partita a scacchi, altre volte uno scontro
aperto. Bankitalia si è sempre espressa nei binari istituzionali dei
suoi atti, via via più incalzanti ed eloquenti. Il verbale
dell’ispezione conclusa nel settembre 2013 avvia, di fatto, il
«commissariamento esterno»: l’Etruria continua a scegliersi gli
amministratori ma Bankitalia indica la strada. E ne esiste una sola:
l’aggregazione. Già nel 2012 gli uomini del governatore Ignazio Visco
avevano rilevato serie anomalie nella gestione. Le ispezioni del
2012-2013 hanno due conseguenze concrete: l’avvio delle prime inchieste
penali della Procura di Arezzo e sanzioni per 2,54 milioni ai vertici.
In quelle carte si ritrovano tutti gli atti di accusa alla base del
commissariamento e anche delle nuove indagini penali: violazione sulla
governance, «carenze nei controlli interni», «omesse segnalazioni alla
Vigilanza», «violazioni in materia di trasparenza». Ce n’era abbastanza
per far piazza pulita di chi aveva gestito la banca e favorito un
sistema clientelare di erogazione del credito .
Buonuscite milionarie
Ma
è a questo punto che comincia la partita a scacchi. Infatti Palazzo
Koch avrebbe voluto fin dal 2012 un ricambio sostanziale nel board e un
cambio di passo deciso, non con «interventi parziali e talvolta
dilatori», nell’affrontare l’allarmante debolezza patrimoniale. Invece
gli amministratori restano pressoché gli stessi e affrontano il «cancro»
delle sofferenze fuori controllo (arriveranno, solo le sofferenze, a 2
miliardi) con l’aspirina di aumenti di capitale inadeguati e l’emissione
di obbligazioni subordinate. È vero che i due grandi «nemici» di
Bankitalia, l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale
Luca Bronchi, vengono fatti fuori. Ma questo succede soltanto ad aprile
2014 per Fornasari e due mesi dopo per Bronchi (per di più con una
buonuscita milionaria). Giova ricordare che nel frattempo i crediti
cattivi stavano tranquillamente veleggiando verso i 3 miliardi, cioè il
40% degli impieghi, record assoluto per il sistema bancario italiano.
E
il nuovo che avanza? Si chiamava Lorenzo Rosi (presidente) e Pier Luigi
Boschi (vicepresidente), papà del ministro Maria Elena, presenti in
consiglio rispettivamente dal 2008 e dal 2011. Non certo il segnale di
rinnovamento che Bankitalia chiedeva visto che entrambi erano tra i
sanzionati. La resistenza dei poteri locali, «il territorio» come
talvolta vengono chiamati, è l’alibi per interrompere le trattive di
fusione con la Popolare di Vicenza, sponsorizzata da Via Nazionale.
Forse quella fusione non sarebbe andata lontano, forse c’era di meglio
in attesa (Popolare Emilia?) ma sta di fatto che l’Etruria è di nuovo
sola, col suo carico ingestibile di sofferenze, i soliti uomini al
comando e sempre più in rotta di collisione con Bankitalia .
Il ruolo di Carboni
È
a questo punto che servirebbe una scossa manageriale di alto livello,
un salto di qualità immediato nella governance, un uomo di esperienza
gradito a Bankitalia e al mercato. Ed è qui che il presidente Rosi e il
vicepresidente Boschi scelgono invece le strade oblique di faccendieri e
massoni, per arrivare a farsi consigliare Arpe da uno dei più indagati e
processati manovratori di potere in Italia, Flavio Carboni. Ormai però a
Palazzo Koch hanno deciso: a novembre 2014 parte una nuova ispezione,
l’ultima, decisiva, prima del commissariamento di febbraio 2015. La
scacchiera è stata messa da parte. Chissà, forse il «territorio» aretino
irrazionalmente si sente protetto da quel vicepresidente «papà di…». Un
canale con Bankitalia resta aperto. Un canale molto burocratico.
Del
resto che dialogo ci poteva essere se ad Arezzo gli interlocutori fino
all’ultimo sono stati gli stessi già pesantemente sanzionati e
considerati esplicitamente inadeguati a gestire una banca? Le nuove
sanzioni saranno spedite nelle prossime settimane. I documenti alla base
delle inchieste penali sono i verbali ispettivi della Banca d’Italia. I
manager si difenderanno dicendo che hanno seguito pedissequamente le
indicazioni di Palazzo Koch. E la partita a scacchi ricomincerà.