Corriere 17.1.16
La vicenda L’Etruria, il Qatar e papà Boschi «Volevo aiutarlo con gli sceicchi»
L’imprenditore Mureddu: gli presentai anche Flavio Carboni a Roma
di Fabrizio Caccia
ROMA
«Quando Viktor Ivanovich Petrik, lo scienziato russo per cui lavoro,
leggerà questo articolo, mi licenzierà...», scommette beffardo Valeriano
Mureddu, 46 anni, imprenditore e massone («Sì, sono massone — ammette —
ma da due anni in sonno...»). Personaggio bizzarro («Da piccolo mi
chiamavano Napoleone per il mio coraggio e io ho chiamato Napoleone mio
figlio...»), sedicente collaboratore di qualche servizio segreto («Già
ma quale?», provoca) e sotto inchiesta a Perugia per evasione milionaria
dell’Iva («Sono innocente!», giura), Mureddu e il suo mentore
altrettanto discusso, Flavio Carboni, sardo come lui, sono i
protagonisti dell’intricata storia raccontata due giorni fa dal
quotidiano Liberosu Banca Etruria.
Negli uffici romani del
professor Petrik, al secondo piano di via Ludovisi numero 16, strada
elegante che incrocia via Veneto, «tra giugno e luglio del 2014 —
ricorda Mureddu — in due occasioni, a distanza di una decina di giorni,
c’incontrammo io, l’allora vicepresidente di Banca Etruria Pier Luigi
Boschi e il mio amico Flavio Carboni, che presentai al Boschi. Furono
incontri di pochi minuti, si parlò poco e niente della banca...».
Flavio
Carboni, 84 anni, di cui gli ultimi trentacinque segnati da arresti,
processi, condanne e assoluzioni e tuttora a giudizio per la cosiddetta
P3, presunta associazione da lui costituita con «scopi e fini segreti»
secondo la Procura di Roma, conferma i due incontri, «fugacissimi», in
via Ludovisi: «Anch’io come Mureddu frequento quell’ufficio, perché da
nove anni collaboro con Petrik, esperto di nanotecnologie, ad un
progetto per la depurazione delle acque — ammette —. Ma sinceramente
della Banca Etruria non m’interessava nulla...».
E allora perché
quei due incontri romani? «Fu una mia iniziativa — spiega Mureddu —.
Conosco e stimo Pier Luigi Boschi da una decina d’anni, è un mio amico,
lo conobbi quando era il presidente della cantina sociale del Valdarno e
io avevo dei vigneti dalle parti di Reggello. Gli chiedevo consigli su
come fare un buon Chianti. Cose così...». L’amicizia tra i due, poi, è
andata avanti, tra mille incontri nei bar di Arezzo («Con lui e il
presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi, ci vedevamo al bar
Cristallo...») e qualche visita pure a Laterina, nella casa natale dei
Boschi («La figlia di Pier Luigi, la ministra Maria Elena, però, non
l’ho mai conosciuta...»). Così, nel maggio 2014, quando Pier Luigi
divenne vicepresidente di Banca Etruria ecco che Mureddu, provò a fare
qualcosa. «Boschi mi chiese se conoscessi qualcuno molto preparato che
potesse ricoprire il ruolo di direttore generale dell’Etruria» e Mureddu
allora lo disse a Carboni, il quale — «per fare un favore a me», chiosa
l’imprenditore — interpellò chi riteneva più competente, l’ex esponente
della Lega Gianmario Ferramonti. Fu a quest’ultimo che venne l’idea del
banchiere Fabio Arpe. La segnalazione, però, non sortì effetto: come
direttore generale la banca scelse Daniele Cabiati.
«Per Boschi
comunque — rivela Mureddu — feci dell’altro. Tramite le mie conoscenze,
ottenni un interessamento della famiglia reale del Qatar, Al-Thani, che
col fondo Qvs era pronta a salvare Banca Etruria. Pure stavolta, però,
non se ne fece niente». E niente c’entra, infine, conclude Valeriano, il
fatto che dalla Sardegna i Mureddu negli anni ‘60 si trasferirono a
Rignano sull’Arno, il paese di Matteo Renzi. «L’ultima volta che parlai
con Matteo — taglia corto — fu quando era ancora sindaco di Firenze. E a
Rignano ormai ci vive solo il mio babbo, Michele. Probabilmente, ci
siamo detti al telefono oggi con Flavio, si torna a usare il nome di
Carboni solo per attaccare il governo...».