Corriere 17.1.16
Bruxelles
Scherzare con il fuoco? In Europa meglio di no
Giusto difendere gli interessi nazionali ma evitiamo le derive populiste e isolazioniste
Ci sono troppe incognite, come quella di restare fuori da una Unione più ristretta: non possiamo permettercelo
di Franco Venturini
L’
inno alla Gioia , inno dell’Europa, accanto all’inno di Mameli. È stato
questo il day after di Matteo Renzi, la risposta alle dure critiche che
Jean-Claude Juncker gli ha rivolto venerdì. Il presidente del
Consiglio, in visita ieri alla Reggia di Caserta, ha voluto affidare
alle note di Beethoven un messaggio forte per il presidente della
Commissione di Bruxelles: guarda che io sono un europeista, che per
l’Italia l’Europa è «un ideale, una cultura». E che non è normale «fare
polemiche assurde sul niente». Piuttosto l’Italia «chiede semplicemente
rispetto». Ma Renzi non sarebbe Renzi senza la conclusione col botto: «È
finito il tempo in cui qualcuno pensava di telecomandarci da fuori».
Un
po’ di unguento e un po’ di sale sulla ferita ormai resa ufficiale tra
Roma e Bruxelles. Ma i gesti e le battute non riescono a spiegare
l’accaduto, a misurare gli effetti, a valutare quanto di giusto e quanto
di temerario ha portato l’Italia in rotta di collisione con la
Commissione e anche con Angela Merkel che Renzi andrà a trovare tra meno
di due settimane.
Una cosa va detta, prima di entrare nel campo
minato delle «polemiche assurde» che in realtà per l’Italia potrebbero
rivelarsi estremamente pericolose. La tradizione federalista
dell’europeismo italiano (da conservare, ma oggi assai lontana dal
traguardo) porta talvolta a sottovalutare quanto di sovranità nazionale
rimane e deve rimanere accanto alla nuova sovranità condivisa
dell’Europa. Difendere i propri interessi per gli Stati dell’Unione è
lecito ed è necessario, se non altro perché gli altri lo fanno.
Sollevare questioni aperte e talvolta scandalose (valga per tutte quella
dei migranti, con il pesante impegno italiano da un lato e dall’altro
il grottesco fallimento della redistribuzione dei rifugiati nella Ue per
la diserzione di soci che non sono più soltanto quelli dell’est) è un
imprescindibile diritto. Avere qualche approccio diverso sulle sanzioni
alla Russia, più che mai in una Europa spaccata dietro i voti
all’unanimità, è legittimo. Dobbiamo abituarci, insomma, a non gridare
aprioristicamente allo scandalo quando l’Italia viene meno alla sua
storica passività.
Ma se giustamente non vogliamo o non vogliamo
più essere «telecomandati», occorre saper misurare correttamente mosse e
parole, bisogna conoscere e rispettare le regole del gioco senza che
ciò debba comportare disattenzione o rinuncia verso i nostri interessi,
ed è indispensabile, soprattutto, avere chiaro il quadro generale, le
alleanze attuali o future, le linee di tendenza, le opportunità ma anche
i perico li che per noi si prospettano.
Tutto ciò significa
semplicemente fare politica. Riservare le sortite critiche del governo a
temi solidi e ben argomentati, non a generiche imputazioni rivolte con
linguaggio da talk-show di politica interna. Fare una politica di
alleanze opportune nella cornice della Ue, non immaginare che il legame
con gli Usa basti a compensare un isolamento in Europa. Avere una
credibilità che si ottiene a voce bassa, con i fatti, certo con le
riforme che Renzi sta facendo, ma anche con iniziative nell’ambito
europeo, con presenze politiche più frequenti a Bruxelles e nelle
capitali che contano, e ancora una volta con un linguaggio che non sia, o
non sembri, destinato agli elettori di casa. Servirebbe di più, su quel
versante, usare la memoria, ricordare perché l’Europa è nata, spiegare
quale sarebbe il domani senza Europa.
Ma il populismo nella
comunicazione non sembra avere avversari efficaci. E allora la Ue
finisce per diventare un facile capro espiatorio dell’economia che non
cresce abbastanza, dei difetti strutturali, della corruzione, della
dittatura burocratica, manca soltanto la criminalità organizzata.
E
soprattutto, dicevamo, bisogna capire per tempo cosa si muove
sott’acqua in questa Europa scossa dalla più grave crisi della sua
esistenza. Non è forse percepibile la tentazione dell’ultima trincea,
del nucleo duro guidato dalla Germania e aperto a Olanda, Belgio,
Lussemburgo, Austria, Francia (che per Berlino è irrinunciabile, il che
non le consentirà mai di essere nostra alleata senza riserve)? Non si
discute a bassa voce di mini-Schengen per dare una coerenza alla
politica migratoria? E abbiamo dimenticato che durante la trattativa
coltello in mano con la Grecia il ministro Schaeuble ventilò la nascita
di un Eurogruppo ristretto ai Paesi «virtuosi»? Prenda nota Matteo
Renzi, prima del suo viaggio a Berlino, che Frau Merkel è l’ultima
barriera contro una Europa esplosa e subito ricomposta in piccolo, una
Europa nella quale l’Italia del secondo debito pubblico europeo e della
debole competitività avrebbe poche chances di essere presente. Certo,
siamo troppo importanti e ancora troppo forti per poter essere messi da
parte senza contraccolpi gravi.
Ma dovremmo comunque capire che
non sono questi tempi adatti per giocare col fuoco, che lo status di
Paese fondatore non conta più nulla, che bisogna sì difendere gli
interessi nazionali (in Europa come su altri fronti) ma evitando che
essi confluiscano in un nazionalismo populista e isolazionista.
In
Europa l’Italia è assediata da qualche ingiustizia e da molti pericoli.
La rotta giusta, e molto difficile, è argomentare seriamente contro le
prime e attrezzarci per sventare i secondi. Servirebbe una Italia nuova.
Ma non è questo, il traguardo che Renzi dichiara di porsi? Per ora
accontentiamoci della Nona Sinfonia , come fosse una promessa.