sabato 16 gennaio 2016

Corriere 16.1.16
Recessione nel 2016, la grande paura Usa
L’industria americana è in affanno: i consumi interni sono risaliti poco, anche l’export segna il passo E gli scenari segnano una svolta da quel sentiero di ripresa lenta (ma solida) disegnato dalla Fed
di Giuseppe Sarcina

NEW YORK Gennaio 2016: fuga da Wall Street. Il conto è pesante e non risparmia nessuno sui mercati finanziari. L’indice principale della Borsa americana, il Dow Jones, recupera qualcosa nelle battute finali, ma chiude con una perdita di 392 punti, il 2,4%. Dall’inizio del 2016 la flessione è pari all’8%. Per trovare un livello più basso bisogna risalire al 25 agosto 2015. Il Nasdaq, il listino dei titoli tecnologici, lascia sul campo il 2,4% e ritorna alla soglia dell’ottobre 2014. Le parole di ottimismo pronunciate il 13 gennaio scorso dal presidente Barack Obama sono ancora sospese nell’aria. Ma in America torna quella sgradevole sensazione di incertezza, di insicurezza che sembrava archiviata con la decisione assunta dalla Federal Reserve il 16 dicembre 2015: rialzo dei tassi di interesse, +0,25%/0,50%, dopo sette anni di denaro a costo zero.
Le quotazioni di Wall Street sono turbate dal ribasso del petrolio e da correnti che sembrano arrivare da lontano. Tutti guardano al rallentamento della Cina alle difficoltà del Brasile e in parte dell’India. Gli analisti scrutano gli indicatori dell’economia mondiale e distillano preoccupate previsioni. Ma gli investitori e i piccoli risparmiatori hanno già deciso: con la consueta rapidità stanno liquidando gli stock. In ciascuno dei primi giorni del 2016 è passata di mano una media di 8,8 miliardi di azioni, quando nel 2015 era stata pari a 6,8 miliardi. I capitali in uscita cercano riparo nei titoli del Tesoro a 10 anni, nonostante il tasso di interesse non arrivi al 2%. In forte rialzo anche l’oro, ieri +1,2%, l’altro bene rifugio per eccellenza.
Sono numeri inquietanti. Certo, ancora lontani da quelli della grande paura che abbiamo conosciuto con la crisi finanziaria nel settembre del 2008. Ma segnano una brusca deviazione da quel sentiero di ripresa lenta, ma solida disegnato dalla presidente della Fed, Janet Yellen.
Sono all’opera fattori fisiologici. L’economista Martin Feldestein, già consigliere di Ronald Reagan, in un articolo pubblicato nei giorni scorsi dal Wall Street Journal , sostiene che i prezzi di Borsa siano sopravvalutati del 30% rispetto alla media storica: «Altre correzioni saranno inevitabili». Il mercato è gonfio di liquidità. Le banche si sono finanziate praticamente a costo zero, attingendo al programma di «quantitative easing» della Banca centrale. Il denaro è stato investito soprattutto nel settore energetico, nella green economy, nelle start-up di Internet, ma anche nelle società più tradizionali. Le bolle non possono gonfiarsi in eterno.
Adesso il problema, economico per la Fed, politico per Obama, è evitare che la deriva della Borsa si trasformi in un rovescio dell’economia reale.
Il settore manifatturiero americano è in affanno, soprattutto perché i consumi interni non hanno ripreso continuità. Poi ci sono le crescenti difficoltà nelle esportazioni verso il resto del mondo, penalizzate dal rafforzamento del dollaro. Quelle indirizzate verso la Cina valgono solo l’1% del totale. Tuttavia il grande Paese asiatico, osservano gli analisti, resta un fattore importante anche per il mercato finanziario Usa. Se rallenta il motore di Pechino, come si vede da mesi, all’istante frena anche il resto del mondo.
Esiste il rischio concreto di una recessione negli Stati Uniti? Per il 2016 è prevista una crescita del prodotto interno lordo superiore al 2%. Quella sarà la soglia decisiva secondo alcuni esperti, come Carey Leahey, del centro studi Decision Economics di New York, diretto da Allen Sinai. «I fondamentali dell’economia indicano che al momento non esiste un vero pericolo di recessione. Ma se quest’anno il Pil cresce meno del 2%, allora sì, l’economia comincerebbe ad avvitarsi e le cose si potrebbero davvero complicare».