Corriere 14.1.16
Armata Rossa
L’arte saccheggiata tra furti e indennizzi
risponde Sergio Romano
In
una risposta lei ha citato il maresciallo Zhukov. Ricordo male, o anche
lui, seguendo gli ordini di Stalin, depredò in tutta Europa opere
d’arte e tesori per portarli in Russia? Marta Barbieri
Mantova
Cara Signora,
I
sovietici, in questo caso, non esitarono a dire la verità. Quando
furono accusati di avere fatto man bassa del patrimonio artistico della
Germania occupata, pubblicarono alcuni dati sulle depredazioni naziste
nell’Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale: i musei
distrutti furono 427, i monumenti 2.439, le scuole gravemente
danneggiate 84.000, le biblioteche pubbliche 43 mila, le chiese 1.670,
le cappelle 69, le sinagoghe 532, i libri perduti 180 milioni.
Il
senso di quei dati era evidente. I sovietici stavano dicendo al mondo
che avevano diritto a un indennizzo e che non avrebbero aspettato un
improbabile trattato di pace per saldare i conti.
Il materiale,
trasportato in Russia su alcune centinaia di treni, comprendeva, a
quanto pare, circa due milioni e mezzo di pezzi. Un milione, fra cui il
fregio dell’altare di Pergamo e i «Quaderni di conversazione di
Beethoven», fu restituito alla Repubblica democratica tedesca in segno
di fraterna amicizia, ma una larga parte del patrimonio rimase sepolto
nei depositi e negli scantinati dei maggiori musei sovietici. Il Pushkin
di Mosca, in particolare, fece la parte del leone ed ebbe in dote, tra
l’altro, il tesoro di Priamo che Heinrich Schliemann aveva trovato nel
sito di Troia il 14 luglio 1873. L’arcigna direttrice del museo, Irina
Antonova, lo custodì gelosamente e continuò a negarne l’esistenza sino a
quando fu pubblicamente sconfessata da un esponente del governo. Corse
ai ripari organizzando nel suo museo una pubblica esposizione del
Tesoro, ma a Mosca l’ipotesi della restituzione fu subito bruscamente
archiviata.
Un altro tesoro nascosto nel museo Pushkin è tornato
alla luce negli scorsi mesi: 123 quadri italiani, dipinti fra il
Trecento e il Settecento, provenienti in grande parte dalle collezioni
private dei castelli prussiani. Grazie alla fine del regno di Irina
Antonova, Viktoria Markova, curatrice dell’arte italiana e
organizzatrice di molte mostre, ha potuto renderne nota l’esistenza in
un bel libro pubblicato a Mosca e presentato a Roma negli scorsi mesi.
Non torneranno in Germania, probabilmente, ma sono stati restituiti agli
storici dell’arte e, sperabilmente, al circuito delle esposizioni
internazionali.