domenica 24 gennaio 2016

Corriere 14.1.16
Armata Rossa
L’arte saccheggiata tra furti e indennizzi
risponde Sergio Romano

In una risposta lei ha citato il maresciallo Zhukov. Ricordo male, o anche lui, seguendo gli ordini di Stalin, depredò in tutta Europa opere d’arte e tesori per portarli in Russia? Marta Barbieri
Mantova

Cara Signora,
I sovietici, in questo caso, non esitarono a dire la verità. Quando furono accusati di avere fatto man bassa del patrimonio artistico della Germania occupata, pubblicarono alcuni dati sulle depredazioni naziste nell’Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale: i musei distrutti furono 427, i monumenti 2.439, le scuole gravemente danneggiate 84.000, le biblioteche pubbliche 43 mila, le chiese 1.670, le cappelle 69, le sinagoghe 532, i libri perduti 180 milioni.
Il senso di quei dati era evidente. I sovietici stavano dicendo al mondo che avevano diritto a un indennizzo e che non avrebbero aspettato un improbabile trattato di pace per saldare i conti.
Il materiale, trasportato in Russia su alcune centinaia di treni, comprendeva, a quanto pare, circa due milioni e mezzo di pezzi. Un milione, fra cui il fregio dell’altare di Pergamo e i «Quaderni di conversazione di Beethoven», fu restituito alla Repubblica democratica tedesca in segno di fraterna amicizia, ma una larga parte del patrimonio rimase sepolto nei depositi e negli scantinati dei maggiori musei sovietici. Il Pushkin di Mosca, in particolare, fece la parte del leone ed ebbe in dote, tra l’altro, il tesoro di Priamo che Heinrich Schliemann aveva trovato nel sito di Troia il 14 luglio 1873. L’arcigna direttrice del museo, Irina Antonova, lo custodì gelosamente e continuò a negarne l’esistenza sino a quando fu pubblicamente sconfessata da un esponente del governo. Corse ai ripari organizzando nel suo museo una pubblica esposizione del Tesoro, ma a Mosca l’ipotesi della restituzione fu subito bruscamente archiviata.
Un altro tesoro nascosto nel museo Pushkin è tornato alla luce negli scorsi mesi: 123 quadri italiani, dipinti fra il Trecento e il Settecento, provenienti in grande parte dalle collezioni private dei castelli prussiani. Grazie alla fine del regno di Irina Antonova, Viktoria Markova, curatrice dell’arte italiana e organizzatrice di molte mostre, ha potuto renderne nota l’esistenza in un bel libro pubblicato a Mosca e presentato a Roma negli scorsi mesi. Non torneranno in Germania, probabilmente, ma sono stati restituiti agli storici dell’arte e, sperabilmente, al circuito delle esposizioni internazionali.