Corriere 13.1.16
Un’offensiva che perde spinta l’assist al Pd del movimento
di Massimo Franco
L’imbarazzo
del Movimento 5 Stelle è sempre più palpabile. La vicenda del sindaco
di Quarto squarcia il velo su sottovalutazioni e reticenze del vertice
nazionale, che sconcertano. Ieri i tre «delfini» di Beppe Grillo,
Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Roberto Fico, si sono presentati
insieme davanti alle telecamere per difendersi dall’accusa di avere
saputo da tempo quanto accadeva. Hanno minacciato querele e sconfessato
Rosa Capuozzo, già espulsa «perché non ha denunciato un tentativo di
ricatto» della camorra. Eppure, i tre sembravano accusati, non
accusatori.
La loro offensiva contro il governo di Matteo Renzi ne
risulta inevitabilmente indebolita. La pretesa di onestà e purezza
esclusive, se non cancellata, è scossa dall’episodio. Un fatto «minore»,
locale, produce un’eco enorme, per un M5S che si nutre del mito della
trasparenza. E pensare che il centrosinistra si trova a fronteggiare uno
dei passaggi più delicati dell’era renziana. Il salvataggio delle
quattro banche, una delle quali aveva come vicepresidente il padre del
ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, invece di chiarirsi si
complica: almeno politicamente.
Le dimissioni della Boschi, che
fino a un paio di giorni fa non erano un tema centrale, sono diventate
un tormentone strumentale e martellante: sebbene, per paradosso, a
renderlo tale siano stati i riconoscimenti al ministro da parte del
premier e dei suoi fedelissimi. Dandole ragione sul fatto che non se ne
deve andare se il padre fosse indagato, hanno acuito il sospetto che a
Palazzo Chigi l’inchiesta giudiziaria sull’ex vicepresidente di Banca
Etruria, e non solo su di lui, viene data per scontata.
Il
presidente del Consiglio spiega che la posizione della Boschi «è la
nostra. Se chi ha il padre indagato deve dimettersi, il primo dovrei
essere io...». E assicura che continuerà a cambiare il sistema bancario
perché «non abbiamo scheletri nell’armadio». Intanto frena sulla
commissione d’inchiesta proposta da alcuni parlamentari del Pd e
incoraggiata inizialmente da Palazzo Chigi. «Non è un tema all’ordine
del giorno», ha spiegato. «Consob ha da fare i suoi compiti. E
Bankitalia è una grande istituzione del Paese».
La scelta sembra
ragionevole, benché FI punti il dito contro il governatore Ignazio
Visco. L’impressione è che le preoccupazioni filtrate dal Quirinale, e
non solo, spingano a maggiore cautela: sebbene il ministro Boschi
continui a adombrare responsabilità di Bankitalia. Sono segnali di una
difficoltà forse più percepita che reale. Ma evidente, perché tocca
persone vicine ai vertici dell’esecutivo. La virulenza del centrodestra
porta a pensare che la vicenda rimarrà uno dei punti deboli di Renzi:
un’arma impropria da puntargli contro in vista del voto amministrativo
di giugno.