Corriere 13.1.16
Il pugile sinti sul ring del nazismo
Ucciso nel lager, narrato da Dario Fo
Era famoso in tutta la Germania per il talento e il gioco di gambe, un idolo dalla pelle ambrata
Ma
lo costrinsero a combattere «come un ariano». Lui si presentò con i
capelli tinti di biondo e il corpo cosparso di borotalco Venne deportato
nell’ottobre del 1942
di Alessia Rastelli
«Me
l’hanno fatto capire in mille modi, un sinti non può diventare campione
in Germania. È stata una progressione studiata ad hoc. Prima arrivo a
essere uno dei migliori dilettanti e mi tagliano fuori dalle Olimpiadi. E
adesso che sono professionista mi impediscono di fare carriera. Mi
hanno incastrato, ormai».
Giugno 1933. A gennaio Adolf Hitler è
diventato cancelliere del Reich. E Johann Trollmann, «pugile danzante»,
famoso in tutto il Paese per il talento e il modo di muovere i piedi
come se ballasse, viene ingiustamente privato del titolo di campione
tedesco dei mediomassimi. Gli verrà proposto un altro incontro, un mese
dopo, in cui dovrà combattere «come un ariano»: senza saltellare leggero
qua e là, solo picchiare, fermo in mezzo al ring. Si presenterà — lui,
ciuffo moro, occhi scuri, idolo dalla pelle ambrata delle ragazzine —,
con i capelli tinti di biondo e il corpo cosparso di borotalco,
destinato alla sconfitta ma senza rinunciare a quella caricatura, audace
beffa della prepotenza nazista.
La vita di Trollmann, detto
«Rukeli» in romaní — la sua lingua, in cui vuol dire «albero» —, viene
ricostruita dal Nobel per la Letteratura Dario Fo nel nuovo libro Razza
di zingaro , illustrato dall’autore, che esce domani per Chiarelettere
nella collana «Narrazioni». Ovvero la serie di storie vere narrate in
forma di romanzo da grandi autori. Fo sceglie di raccontare Rukeli dai
primi pugni in una palestra di Hannover, a 8 anni, fino alla morte, a
36, nel campo di concentramento di Neuengamme, nel nord della Germania,
dove viene deportato alla fine di ottobre del 1942 perché «zingaro». In
mezzo l’adolescenza, cui è dedicato ampio spazio. Anni trascorsi tra gli
allenamenti, il ricordo del nonno violinista, le giornate con gli zii
allevatori di cavalli e i cugini artisti del circo. Occasioni narrative,
queste ultime, in cui l’autore descrive la quotidianità sinti, i riti e
le danze, utili a farne conoscere origini e tradizioni, sfatando
pregiudizi resistenti e pericolosi ancora oggi. «Da quando, secoli fa,
siamo arrivati dall’India in queste terre, il cavallo è sempre stato per
noi l’animale col quale si divideva la vita. Una creatura sacra»
racconta lo zio di Rukeli. «Ci muoviamo sempre in molti. Fra figli,
cugini e nipoti siamo una trentina. Per noi la famiglia è il centro di
tutto», dice a sua volta il pugile-ragazzino all’allenatore.
Quindi,
la tragedia. Prima Trollmann deve nascondersi nei boschi, poi viene
richiamato alle armi nel 1939 nelle file dell’esercito tedesco, fino a
essere di nuovo perseguitato e deportato. Furono circa 500 mila le
vittime dei nazisti appartenenti al popolo rom e sinti, catturate in
Germania e nei Paesi occupati. «Porajmos» (divoramento o devastazione)
la parola con cui chiamano questo sterminio. Lo psichiatra e neurologo
Robert Ritter, direttore dal 1936 a Berlino dell’Istituto di ricerca
sull’igiene razziale e la biologia della popolazione, li definì una
«razza degenerata», adducendo, come accadde per gli ebrei, teorie
genetiche assurde per giustificare l’orrore.
Nel libro si racconta
anche la sterilizzazione cui i rom furono sottoposti. E l’accanimento
degli aguzzini nel lager, dove Trollman, ormai diventato l’ombra di se
stesso, viene costretto a combattere. Fino a quando — ricostruisce Fo —
avendo il coraggio di sconfiggere un kapò, viene ucciso per vendetta.
Vinto, ma non piegato nemmeno in quel ring.