mercoledì 13 gennaio 2016

Corriere 13.1.16
Da Ingroia a Pardi, quel comitato per il No sembra la lista Tsipras
di Pierluigi Battista

Come «non» vincere un referendum popolare, atto primo: presentare un Comitato per il No che appaia come un’adunata di reduci della sinistra che non ci sta a farsi risucchiare nell’orbita renziana. Ignorare un trenta per cento dell’elettorato attratto dal No, ma che non si metterebbe mai sotto l’ombrello di un pugno di oltranzisti di sinistra, illustrissimi, autorevolissimi, ammirabilissimi, ma pur sempre oltranzisti, e pur sempre superstiti di disastrose esperienze elettorali.
Dare un segno di conservatorismo di sinistra a una battaglia che dovrebbe concentrarsi sulle eventuali magagne di una riforma costituzionale che peraltro suscita qualche perplessità tra i suoi stessi sostenitori (che vorrebbe per esempio il Senato abolito, e non riempito di consiglieri regionali nominati). Ecco, la presentazione del comitato per il No alla riforma targata Renzi ha risposto pienamente ai requisiti per rischiare di perdere in anticipo una nobile battaglia.
Costituzionalisti prestigiosi, come Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, certamente. E anche un pezzo di società rappresentato da Maurizio Landini della Fiom. Ma poi Pancho Pardi in ricordo della gloriosa stagione dei girotondi. E inoltre Antonio Ingroia e Antonio Di Pietro, reduci da esperienze elettorali o malamente interrotte dopo un periodo di sudate medaglie, come Di Pietro, oppure con forti difficoltà in fase di decollo e con risultati non propriamente entusiasmanti, come Ingroia. Il rischio insomma è che il comitato per il No possa dare l’impressione di una variegata Lista Tsipras contraria alle riforme costituzionali, mentre nella logica referendaria il consenso da ricercare dovrebbe essere ampio, trasversale, capace di sfondare in tutti gli schieramenti.
E invece, tranne la presenza militante di Paolo Cirino Pomicino, nel comitato che in questi giorni ha costruito la piattaforma per il referendum del prossimo ottobre non c’è l’ombra di una figura culturale diversa da quella della sinistra che abbiamo conosciuto in tutte le sue molteplici e colorate manifestazioni (arcobaleno, popolo viola, eccetera).
Non c’è nemmeno una presenza significativa dei 5 Stelle che comunque, giusto per essere equanimi con il movimento di Grillo, raggiungono percentuali cinque volte superiori alla somma dei frammenti della sinistra. Non c’è nemmeno un leghista di passaggio, eppure la Lega è per il No. Non c’è neanche l’ombra di un esponente del centrodestra, anche se defilato. Ma senza questi pezzi importanti come è possibile anche lontanamente immaginare uno scenario di vittoria.
Tutti i precedenti referendari, da quelli promossi dai Radicali a quello di Mariotto Segni, stanno semmai a testimoniare la necessità di rompere steccati per parlare a un elettorato lontano e con cui non si è mai avuta un’interlocuzione. Invece in questo caso si cerca ossessivamente la purezza di un’identità e non un dialogo con settori sociali e culturali diversi.
Sulla carta, e solo sulla carta, il No nel referendum dovrebbe essere maggioritario. Ma invece si tiene lontana una parte, non ci si contamina con un’altra, non si parla con mondi che mai hanno avuto un rapporto con la sinistra e si punta sulla cura dei confini del recinto. L’ennesima torsione minoritaria di una sinistra che si vota così a una sconfitta clamorosa, secondo tutte le logiche, da quella matematica a quella dei precedenti storici. Il solito circolo, la solita somma delle sigle, il solito linguaggio sperimentato in iniziative poi evaporate o in cartelli elettorali regolarmente portati al disastro delle urne. Per lo schieramento favorevole alla riforma, e in particolare per Renzi, un ottimo inizio .