martedì 12 gennaio 2016

Corriere 12.1.16
L’asticella del premier: alle urne a ottobre più del 50% degli italiani
Nei comitati dei sì conta di trovare la futura classe dirigente

ROMA «In due anni abbiamo rimesso in moto la politica»: Matteo Renzi festeggia il suo compleanno con l’approvazione della riforma costituzionale alla Camera. Una legge alla quale tiene in modo particolare: «Senza, salta tutto», è il suo ritornello. Salterebbe anche, per intendersi, quella flessibilità che l’Italia sta chiedendo all’Europa.
«Stiamo ottenendo dei risultati straordinari», sostiene il premier, gasatissimo per come è andata a Montecitorio. E ora il presidente del Consiglio è convinto (facendo ovviamente tutti gli scongiuri del caso) che le prossime tappe parlamentari non siano un problema: «I numeri sono dalla nostra».
Il ruolino di marcia è quello che si è dato ormai qualche mese fa: «Lettura definitiva della riforma costituzionale al Senato entro gennaio, lettura definitiva a Montecitorio entro aprile, 16 ottobre il referendum, elezioni politiche a febbraio del 2018».
È da tempo che il presidente del Consiglio ha studiato questo piano, ed è da tempo che ha deciso di giocarsi il tutto per tutto al referendum confermativo. «Ma quale plebiscito — spiega ai collaboratori — è ovvio che una revisione della Costituzione così significativa come quella che abbiamo fatto debba essere votata dagli italiani. Eppoi io sto al governo se questo può servire a cambiare il nostro Paese, cosa che stiamo cercando di fare, ma se non ci si riesce per me sarebbe difficile andare avanti. Nessuno mi ha ordinato di stare qui».
Dunque, Renzi è intenzionato ad andare avanti sulla strada della sfida referendaria. «È quello che mi interessa veramente, è quello l’obiettivo su cui punto tutto», spiega ai fedelissimi. Perciò non deve stupire se ha deciso di mettere in gioco persino la sua permanenza a Palazzo Chigi. Alcuni nel Pd lo hanno sconsigliato di intraprendere questa via «a senso unico», ma il presidente del Consiglio è convinto che così i riflettori si accenderanno sull’appuntamento di ottobre.
Già, perché è vero che il referendum confermativo è un referendum che non deve avere un quorum per essere valido, ma è anche vero che se andasse a votare poca gente, pure se vincessero i «sì», quella di Renzi non potrebbe definirsi una vittoria piena.
Per questa ragione il premier, che difficilmente lascia qualcosa al caso, benché sia poi sempre pronto a cambiare strategia in corsa, mira a raggiungere un obiettivo ben preciso con questa iniziativa referendaria. Ossia quello di superare la soglia del 50 per cento dei votanti. Per intendersi, quella soglia che sarebbe indispensabile se si trattasse di un referendum abrogativo. E c’è da dire che i suoi oppositori a sinistra, che stanno già organizzando i «Comitati per il No», gli stanno dando una mano in questo suo intento, perché contribuiscono a rendere lo scontro referendario uno scontro vero, e questo, inevitabilmente, attirerà più gente al voto. La preoccupazione iniziale del premier, infatti, era quella che della scarsa voglia degli italiani di recarsi alle urne anche in ottobre, dopo aver partecipato al voto amministrativo di giugno.
Ora questo timore sembra essere scomparso. Né, del resto, Renzi teme che dentro il partito gli facciano uno sgambetto al referendum. Più facile, secondo l’inquilino di Palazzo Chigi, che questo avvenga alle amministrative: «Quella sarà una partita in salita nella quale avremo contro tutti».
Il referendum sarà quindi uno spartiacque per il Pd che verrà e per il Paese che Renzi si immagina. Sarà nei «Comitati per il Sì» che il presidente del Consiglio individuerà la nuova classe dirigente del domani, nonché i cento capilista che scenderanno in campo nelle elezioni politiche del febbraio 2018. E sarà in quei comitati, aperti a tutti, non solo agli esponenti del Pd, che si prefigurerà il nuovo partito immaginato da Renzi. Non il partito della Nazione, dice lui, ma «il partito della Ragione».