Corriere 11.1.16
Sul reato di clandestinità vale di più la «percezione»?
di Luigi Ferrarella
L
e interviste sul reato di immigrazione clandestina rilasciate dai
ministri delle Riforme e dell’Interno a Corriere della Sera e Repubblica
sono uno straordinario documento per il nitore con il quale dichiarano
la resa della politica al populismo giudiziario: cioè alla
strumentalizzazione delle valenze simboliche del diritto penale, in
chiave di rassicurazione collettiva rispetto a paure ingigantite o
addirittura create proprio da campagne politiche e/o mediatiche volte a
metterne a reddito elettorale gli enfatizzati rischi.
Per motivare
la marcia indietro del governo sull’abolizione del fallimentare reato,
caldeggiata (a favore di più snelle sanzioni amministrative) dal capo
della polizia come dal procuratore nazionale antimafia, Maria Elena
Boschi prende atto dell’unanimità «degli addetti ai lavori», ma aggiunge
che «in questa specifica fase per poter depenalizzare i reati di
immigrazione clandestina occorre preparare prima l’opinione pubblica».
Lei
stessa snocciola i dati sui crimini diminuiti nel 2015 rispetto al
2014, ma valorizza di più il fatto che, «se guardiamo ai mezzi di
comunicazione, il fenomeno sembra triplicato e questo aumenta la
percezione dell’opinione pubblica. Forse si può arrivare a eliminare
quel reato se si prepara bene il terreno, oggi non credo giusto farlo».
Allo stesso modo, Angelino Alfano trova normale «giocare due partite
intrecciate ma diverse: una sulla realtà e l’altra sulla percezione
della realtà». La realtà «è che calano i reati», ma «non dobbiamo dare
agli italiani l’idea di un allentamento della tensione sulla sicurezza
proprio mentre chiediamo di accogliere i profughi». Dai due importanti
ministri si deduce quindi che nel governo ci si orienta a non fare una
cosa che si ritiene giusta, o ad adottare una soluzione che si sa
sbagliata, solo in considerazione del dividendo di consensi che si
immagina di poterne lucrare o del dazio elettorale che si teme di
doverne pagare.
La seconda lezione è che nel rapporto con i
cittadini i ministri mostrano di ritenere che la logica sia un optional ,
le opzioni penali una specie di segnaletica simbolica, e il reato un
cartello stradale la cui destinazione sia il seggio della prossima
consultazione elettorale, in vista della quale gli italiani vadano
trattati come bambini sprovveduti, incapaci di comprendere una realtà
sfaccettata, ma bisognosi di «essere preparati» a essere impressionati
favorevolmente da una «percezione» anziché persuasi da un ragionamento.
La
terza lezione è che la scusa della «percezione» vale solo quando
conviene: poche settimane fa, quando un’altra (complessivamente sennata)
depenalizzazione ha spostato dal binario penale a quello amministrativo
le sanzioni di taluni illeciti fiscali, bersagliato dalle critiche il
governo Renzi si è ben guardato dal rimangiarsela e dall’adoperare
l’argomento che gli italiani in quelle norme magari avrebbero potuto
«percepire» un via libera all’evasione fiscale. E del resto, tanto sulla
legge elettorale e sulle modifiche del Senato, quanto sul Jobs act e
sulla riforma della scuola, il governo, a torto o a ragione ma
legittimamente convinto delle proprie ragioni, ha fatto spallucce alle
«percezioni» aspramente dissenzienti di parte dell’opinione pubblica.
Strappa infine un sorriso la buffa contraddizione per la quale di colpo
basta che sull’immigrazione i giornali e tv più vicini all’opposizione
facciano «buu!» al governo, ed ecco che a far finta di spaventarsi è
proprio l’esecutivo che teorizza la «disintermediazione» e propugna
l’irrilevanza dei giornali di cui contesta e irride i titoli che non gli
garbano.