Corriere 11.1.16
Colonia
L’affronto della donna libera
Quell’apertura (così brusca) dell’Islam alla modernità
di Donatella Di Cesare
Non
si placano, in Germania, e nel mondo, le polemiche dopo la notte di
violenza a Colonia. La grande piazza davanti alla maestosa cattedrale è
stata il luogo in cui si è lasciato che disprezzo e brutalità
investissero donne, indifese e ignare, la cui unica colpa era quella di
trovarsi lì in quel momento. Molestie, palpeggiamenti, insulti, furti e,
in alcuni casi, persino stupri.
Dove erano le autorità? E che
dire delle forze dell’ordine, rimaste pressoché inerti? Perché giornali e
media tedeschi hanno minimizzato l’evento, prima che un’ondata di
indignazione si sollevasse ovunque?
Ormai da anni, nelle
metropoli, nei grandi centri abitati, nelle cittadine universitarie, la
polizia tedesca chiude un occhio durante il week-end e nei giorni
festivi, lascia che la movida si appropri di vie e piazze, che giovani, e
non più giovani, si godano liberamente, con l’aiuto dell’alcol, quelle
ore di baldoria e divertimento. L’idea, in fondo antica, è che la festa
sia una sospensione delle regole. I limiti sono rimessi al giudizio del
singolo. Gli effetti sono spesso devastanti.
Non si capirebbe la
notte di Colonia, se non la si inquadrasse in tale contesto. Ma per i
tedeschi, che festeggiano in uno spazio pubblico, il limite è, o
dovrebbe essere, quello del rispetto delle donne. Non è stato invece
così per quegli uomini, in gran parte provenienti da Paesi arabi, che
con noncuranza hanno perpetrato i loro atti osceni, senza che nessuno li
fermasse. Forse si sono dati appuntamento attraverso WhatsApp, con un
sms, o semplicemente grazie a un passaparola. È difficile immaginare che
si sia trattato di una azione concertata, e ancor più difficile
riconoscervi i contorni di una impresa bellica. Questo non riduce, però,
la gravità dell’accaduto. Piuttosto si deve credere che quegli uomini,
per lo più giovani, abbiano interpretato la festa di Capodanno come
l’occasione per divertirsi all’occidentale, in modo disinibito,
spregiudicato, sfrontato. Come se ogni limite dovesse cadere, o fosse
già caduto.
Si sono dati convegno in tanti, fra la stazione e il
duomo, perché uniti ci si sente più forti. Dopo essersi appropriati
dello spazio, hanno provano a tastare il terreno. L’auto della polizia è
rimasta ferma in un angolo. E loro hanno potuto lasciarsi andare: prima
uno sguardo, poi un complimento che rasentava l’insulto, quindi sono
passati alle vie di fatto. Lo scherno si è mescolato al dileggio, è
diventato oltraggio. Il furto non va considerato separatamente perché fa
parte invece di questa terribile irrisione, di questo disprezzo
incontrollato.
Un collettivo di fratelli assale la donna che osa
passare per lo spazio pubblico, non velata, perturbante e provocante,
eccessiva nella sua esposizione. La donna libera ed esposta: questo
scandalo ontologico, questa offesa agli occhi, questo affronto osceno
che turba l’equilibrio dell’universo. È la donna stessa che, con la sua
intrusione visiva, solleciterebbe l’oscenità, ne sarebbe alla fin fine
responsabile.
Quel che è accaduto a Colonia mostra in modo
drammatico i problemi che derivano dalla brusca apertura del mondo
islamico alla modernizzazione occidentale. Ma indica anche che, se
questo impatto non viene culturalmente mediato, saranno tutte le donne
le prime vittime. Perché non si possono dimenticare quelle piazze
italiane dove, fino a soli pochi decenni fa, le donne non potevano avere
accesso. E perché, anche in Occidente, la donna resta, malgrado tutto,
il grande Altro, troppo enigmatico, troppo esplosivo.
Non si deve
né minimizzare, come fa chi parla di semplice «criminalità», né
semplificare tracciando il confine razzista fra gli «stranieri» e «noi».
E mentre l’estrema destra xenofoba di Pegida tenta di strumentalizzare
l’evento, occorre mobilitarsi per rovesciare le sorti di questa storia
recente ed essere «tutte a Colonia, il 4 febbraio».