lunedì 11 gennaio 2016

Corriere 11.1.16
Processi costosi e senza esito tra interpreti e avvocati d’ufficio
di Giovanni Bianconi

ROMA Da una parte c’è l’opportunità politica, il «problema della percezione» chiamato in causa per giustificare il freno del governo sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina; dall’altra c’è la realtà, riconosciuta da tutti gli addetti ai lavori: quel reato è inutile, non ha avuto e continua a non avere effetti pratici sul fenomeno da contenere (e reprimere, se si vuole), né di deterrenza. Di più: ha un costo per le casse dello Stato difficile da quantificare, ma certamente molto superiori ai benefici che porta.
Le ammende
Un procedimento penale, infatti, non si apre né si conclude senza incidere sulla spesa pubblica, non fosse che per il tempo che devono dedicarvi magistrati e impiegati. Anche quando non si riesce ad arrivare a nulla, come nel caso delle ammende da 5.000 a 10.000 euro da infliggere a chi viola le norme sull’ingresso in Italia; impossibili da incassare dal momento che chi dovrebbe pagarle non ha i soldi né beni da sequestrare. Le procedure sono le stesse per tutti i fascicoli giudiziari, e la «via breve» del decreto penale di condanna spesso si interrompe perché è impossibile reperire le persone per la notifica. A quel punto scatta la revoca e s’imbocca la via ordinaria, più lunga e più costosa.
Un iter complesso
Dopo l’iscrizione sul registro degli indagati scattano le inevitabili garanzie, come la nomina di un difensore d’ufficio, che probabilmente sarà a carico dello Stato vista la generale indigenza dei clienti. I migranti che sbarcano clandestinamente non conoscono la lingua italiana e dunque bisogna trovare (e pagare) gli interpreti per la traduzione degli atti. Poi le alternative diventano molte a seconda che le persone da sottoporre a giudizio siano reperibili o meno, ma in ogni caso, quando si arriva alla condanna, la multa resta senza effetti. E la susseguente espulsione può essere esercitata solo al termine dei tre gradi di giudizio, cioè dopo la conferma della Cassazione. Se tutto va bene ci vuole qualche anno, e nel frattempo chissà dov’è finito il clandestino.
Tutto questo iter dall’esito pressoché nullo dovrebbe replicarsi per ogni clandestino, e i numeri sono altissimi. Il procuratore di Agrigento Renato Di Natale, che gestisce la frontiera più avanzata (nella sua giurisdizione rientra Lampedusa), ha già sottolineato, come altri suoi colleghi, la «totale inutilità» del reato; in più ha aggiunto le cifre: 13.000 extra-comunitari indagati nel 2011, oltre 16.000 nel 2014, 26.000 nel 2015. In teoria si dovrebbe aprire un fascicolo per ognuno ma ad Agrigento Di Natale ha deciso di contenere tutte le iscrizioni derivanti da uno sbarco in un unico fascicolo, «per snellire la procedura». A Catania l’ex procuratore Giovanni Salvi ha evitato molte iscrizioni grazie a un’interpretazione giuridica della norma (confermata dalla Cassazione) secondo cui la responsabilità dell’ingresso clandestino doveva ricadere sugli scafisti e non sui trasportati.
L’invito alla razionalità
Proprio a questo aspetto ha fatto riferimento il superprocuratore antimafia Franco Roberti, quando ha detto che trattare i migranti da indagati anziché da testimoni (con ciò che ne consegue in tema di obbligo di rispondere e di dire la verità) rende più difficile proprio l’identificazione dei trafficanti di uomini. Lo stesso Salvi ha invitato governo e Parlamento ad affrontare il problema «con razionalità», basandosi su dati di fatto e provando a mettere da parte enunciazioni di principio che non trovano riscontro. E l’intervento di ieri del capo della polizia Alessandro Pansa, il quale ha invitato a una riforma che tenga conto delle perplessità avanzate dalla magistratura sull’intasamento delle Procure, va nella stessa direzione. Ma tradurre in intervento concreto le considerazioni per cui sul piano tecnico non si intravede una sola ragione per conservare il reato introdotto dal governo Berlusconi nel 2009, evidentemente non è così semplice. Forse perché nella maggioranza convivono partiti che appartengono per cultura e ispirazioni a schieramenti diversi, sinistra e destra, e si rivolgono a elettorati diversi. E allora, come avviene per altre questioni che attengono alla giustizia (vedi la riforma della prescrizione), la coesistenza tra Pd e Ncd si trasforma in freno. Per necessità politica, a prescindere dalla realtà.