Riforme secondo Matteo: “Referendum su di me”
Il premier lega le sue sorti alla consultazione sulla Carta: “Se perdo me ne vado”
La Stampa 30.12.15
Renzi: se perdo il referendum sulla riforma del Senato fallisce la mia esperienza politica
Lo scetticismo dei «gufi» Per smentire le previsioni negative dei suoi avversari, Renzi ha proiettato delle slide con disegnati alcuni «gufi»
Il premier alla conferenza di fine anno: in ogni caso quello a Palazzo Chigi sarà il mio ultimo ruolo pubblico. E per il 2016 promette: “Sarà l’anno dei valori”
di Francesca Schianchi
«C’è molto da fare, ma vi ricordate dov’eravamo due anni fa?». Alla sua seconda conferenza di fine anno da presidente del Consiglio, Matteo Renzi si presenta munito di cifre da snocciolare sull’attività di quest’anno, di slide da proiettare - dove un disegnino dell’ormai mitologico gufo si incarica della parte dello scettico, quello che «non ce la farete mai» - dispensa battute («siamo pieni dei professionisti del commento del giorno dopo») e frecciate (una pure per il padrone di casa, l’Ordine dei giornalisti: «Fosse per me l’abolirei domattina»). Rivendica i risultati del suo governo, di un 2015 «andato meglio del 2014 e meglio delle nostre previsioni», pronto a giocarsi il tutto per tutto: «Farò campagna elettorale per il referendum costituzionale che si terrà ragionevolmente in ottobre», quello che dovrà confermare o bocciare la riforma del Senato in discussione in Parlamento, ma «se lo perdo, considero fallita la mia esperienza in politica».
Un’esperienza che si concluderà comunque con gli anni da premier, «il mio ultimo ruolo pubblico», perché secondo una «filosofia anglosassone, dopo che hai fatto il capo dell’esecutivo lasci»: già, e anche se «accadrà prima di quanto accadesse in passato, spero - confessa - molto dopo quanto spera qualcuno di voi». Anche perché, si dice certo il premier, «se dovessi scommettere oggi, direi che nel 2018 vinciamo al primo turno»: altro che sondaggi negativi, «anche prima delle Europee erano così e poi abbiamo fatto il 40,8 per cento». Sapendo che «alcune scelte possono far perdere consenso», dal Jobs Act alle politiche sull’immigrazione, ma ostentando tranquillità, anche per le amministrative di primavera, che però non vuole vengano identificate con un test sul governo: «A giugno si vota per i primi cittadini e non per il primo ministro». Si vota a giugno anche a Roma, «intorno al 10», senza nessun rinvio («questo tipo di elucubrazione che alcuni esponenti 5 stelle hanno espresso è un’allucinazione»): «Il Pd se la giocherà e sono certo che il prossimo sindaco farà meglio del precedente», attacca Marino senza citarlo.
Si ripromette di fare del 2016 «l’anno dei valori», di portare a casa la riforma della cittadinanza e quella, che provoca «molte divisioni anche nel Pd», sulle unioni civili. Difende il governo, che, specifica, non subirà rimpasti, dagli attacchi delle opposizioni: dalle critiche feroci di Grillo sullo smog («siamo passati dal “piove, governo ladro” al “non piove, governo killer”»: «c’è un limite di decenza») a quelle sulla gestione del caso banche: «Noi come gruppo dirigente non abbiamo nulla da temere. Le forze politiche che fingono di venire da Marte si ricordino di essere state al governo, e qualcuno anche agli sportelli bancari».
Insomma, sintetizza soddisfatto, «politica batte populismo quattro a zero», slogan immediatamente rovesciato dal forzista Brunetta in un «realtà batte premier quattro a zero». Perché dall’opposizione, com’è immaginabile, questa «Renziland» (copyright della leghista Saltamartini) non convince: «Ce la metterò tutta per mandarlo a casa!», promette Matteo Salvini. E l’ex dem ormai acerrimo rivale Alfredo D’Attorre, di Sinistra italiana, intravede già l’occasione: a ottobre, col referendum, «sarà il pronunciamento democratico dei cittadini a chiudere l’esperienza del suo governo».