Repubblica 8.12.15
Martin Schulz.
Il presidente del Parlamento europeo: “Sono all’opera forze che vogliono dividerci, futuro a rischio”
“Se non fermiamo i nazionalismi tra dieci anni l’Unione potrebbe sparire”
di Christoph B. Schiltz e Andre Tauber
DAVANTI all’ufficio del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, c’è un andirivieni febbrile. Lui ci accoglie di persona e ci conduce nel suo ufficio, da dove lo sguardo si estende su tutta Bruxelles.
Il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, ha recentemente messo in guardia sul pericolo di disfacimento dell’Unione Europea. Esagera?
«Sono all’opera forze che vogliono dividerci. Dobbiamo impedirlo, poiché le conseguenze sarebbero drammatiche. L’Unione Europea è in pericolo: non sappiamo se tra dieci anni l’Ue di oggi esisterà ancora. Se lo vogliamo evitare, dovremo lottare duramente».
È possibile demolire l’Unione Europea?
«Una regressione è possibile, naturalmente. Ma l’alternativa è un’Europa del nazionalismo, delle frontiere e dei muri. Sarebbe devastante, poiché in passato una simile Europa ha portato alla catastrofe».
È necessario un maggiore impegno per il mantenimento dell’Unione?
«Certamente. Ma molti governi prima concordano sulla cessione di sovranità all’Unione, per poi lamentare inaccettabili interferenze nella sovranità nazionale e bloccare un’azione comune. Sono gli stessi che rimproverano l’Ue perché non sa risolvere i problemi di fronte ai quali ci troviamo».
Cosa intende in concreto?
«Attualmente non è l’Unione Europea a mostrare le proprie debolezze, ma sono gli Stati a fallire. Quando qualche ministro dichiara che il suo Paese difenderà da sé le proprie frontiere, dimentica che in qualche caso sono anche le frontiere dell’Ue. Il ritorno di molti governi al paradigma nazionale è fatale. Nessun Paese da solo può fronteggiare sfide come le migrazioni, il mutamento climatico, il terrorismo, il commercio o la criminalità internazionale».
Mentre la Germania discute con sette altri Stati sull’accoglienza di 400mila profughi dalla Turchia, gli altri sembrano volersi defilare. L’Ungheria e la Slovacchia hanno addirittura protestato contro la ripartizione già deliberata.
«Purtroppo qualche Paese si sottrae alle sue responsabilità e si appella con successo alla solidarietà quando si tratta di rivendicare qualcosa per sé, ma si tira indietro quando tocca a lui fare la sua parte. Non dimentichiamo che gli Stati che sopportano il peso maggiore della crisi dei profughi sono anche quelli che contribuiscono di più al bilancio dell’Unione Europea. Quando l’anno prossimo comincerà la revisione del quadro finanziario pluriennale affronteremo un’ intensa discussione sulle priorità dell’Ue».
Molti chiedono alla cancelliera Merkel un segnale sulla fissazione di un limite massimo all’accoglienza dei profughi. Lo comprende?
«Una discussione sui limiti massimi ai profughi non ci porta lontano. Cosa succede, se si fissa il limite a un milione di persone e poi arriva il bambino che è il numero un milione e uno? Lo mandiamo indietro e diciamo: “Scusaci, ne abbiamo già un milione, purtroppo devi andartene anche se sei in pericolo di vita?” È chiaro che dobbiamo difendere meglio le frontiere dell’Unione Europea, è un compito comune. Quello che non va è l’innalzamento di muri o di barriere di filo spinato all’interno dell’Europa. Questo danneggia tutti, e oltretutto è inutile».
Perché?
«Le persone che fuggono dal cosiddetto Stato islamico o dalle barrel bomb di Assad non si lasciano fermare dai reticolati. Corrono per salvarsi la vita. Se necessario, ripiegheranno su altre vie».
Ma non possiamo far entrare chiunque in Europa.
«Giusto. La maggior parte dei profughi che stanno arrivando non sono famiglie siriane di Aleppo, ma giovani uomini dall’Afghanistan. Posso capire i motivi della loro fuga. Ma le procedure per le persone che provengono da questi Stati devono essere accelerate e, coerentemente, devono essere effettuatianche i necessari rimpatri».
La Germania deve fare di più a livello finanziario per combattere le cause dell’esodo?
«Tutti gli Stati membri dell’UE devono fare di più. Qui purtroppo si riproducono sempre gli stessi schemi: si organizzano incontri, si adottano risoluzioni, si promettono soldi e alla fine nessuno rispetta questi impegni o versa del denaro. È uno spettacolo indegno, che deve finire quanto prima. Nel 2016 i contributi degli Stati membri per l’UE scenderanno a 9,4 miliardi di euro. Significa che i soldi ci sono. E cosa fanno gli Stati membri? Invece di darne una parte per l’assistenza ai profughi nei Paesi vicini della Siria li includono nei bilanci nazionali. Così non può durare».
Traduzione di Carlo Sandrelli © Die Welt / LENA, Leading European Newspaper Alliance