martedì 8 dicembre 2015

La Stampa 8.12.15
I massacri di Parigi un attacco alla nostra cultura laica
risponde Gian Enrico Rusconi


Caro professor Gian Enrico Rusconi, «Perché non possiamo non dirci “cristiani”». Questa frase di Benedetto Croce, scritta nel 1942, mi è tornata in mente dopo l’attentato terroristico al Bataclan di Parigi. Molti commentatori e buona parte dei cittadini europei, alla domanda: «Come dobbiamo comportarci adesso nei confronti del mondo arabo?», hanno risposto senza esitazione: «Contrapponendo i nostri antichi valori civili e religiosi».
Mi domando se ha ancora senso, ormai, innalzare a steccato il modello della nostra civiltà. Quanto si sono corrotte nel tempo le nostre istituzioni politiche ed ecclesiastiche? Penso, per restare all’attualità, ai casi «Roma mafia capitale» e «Vatileaks 2». Nei «Viaggi di Gulliver» Jonathan Swift lancia, attraverso le osservazioni di uno dei suoi personaggi (il re di Brobdingnag), una pesante condanna del sistema anglosassone e del governo inglese: «Vedo, nel vostro popolo, certe linee fondamentali di una costituzione che, alle sue origini, poteva anche essere passabile; ma son quasi cancellate e quel che ne rimane è interamente macchiato e infamato dalla corruzione.
Da tutto ciò che mi avete detto non risulta minimamente che, tra voi, per giungere a una qualsiasi carica, sia richiesta una qualsiasi virtù […] la massa dei vostri compatrioti è la più perniciosa e abominevole razza di insettaglia cui la natura abbia permesso di strisciare sulla faccia della terra».
La denuncia di Swift è talmente forte - la costituzione inglese, così come la democrazia, la politica e la giurisprudenza di quel Paese, sono generalmente considerate un riferimento dagli altri Stati europei - da suscitare delle domande: in che stato versava, nel Settecento, il resto dell’Europa e di quali colpe s’è macchiato l’Occidente con guerre e ingiustizie nei secoli successivi?
Il nostro spirito di appartenenza, al glorioso cristianesimo come all’illuminismo europeo, non è più quello di una volta. I costumi e le società sono cambiate irreversibilmente. Dobbiamo prenderne atto.
Oggi il saggio di Croce dovrebbe intitolarsi: «Dirci cristiani solo quando conviene?».
Stefano Masino

Caro Stefano Masino,
mi scrive che la riflessione di Benedetto Croce «Perché non possiamo non dirci “cristiani”» le è tornata in mente dopo gli attentati di Parigi. Capisco; ma se lei l’ intende immediatamente come una risposta alla questione di «come dobbiamo comportarci con il mondo arabo», rischia di creare un equivoco. Il riconoscere le nostre radici cristiane storiche, e i valori che hanno veicolato, non significa affatto contrapporle frontalmente a quelle del mondo arabo-musulmano (anche escludendo a priori l’uso della violenza). Identità contro identità. Al contrario è un invito a un confronto di merito. La libertà di coscienza e di espressione, l’affermazione dei diritti individuali (in particolare della donna), la legittimità delle differenze culturali e religiose, ma anche la lotta contro l’ingiustizia e l’emarginazione sociale non mi pare che si lascino ascrivere semplicisticamente «ai nostri antichi valori civili e religiosi». Sono il frutto di una lunga storia che ha visto durissimi conflitti interni ai cristiani, che si richiamavano tutti agli stessi «valori», e soprattutto ha fatto maturare una cultura laica, autonoma (di cui Croce è stato uno dei grandi rappresentanti).
Questo vale ancora oggi. I massacri di Parigi personalmente li ho vissuti proprio come un attacco a questa cultura laica piuttosto che alla religione cristiana.
Purtroppo per troppi musulmani, anche colti, la nostra cultura rischia di essere schiacciata tutta confusamente dentro a un’immagine laida ed equivoca di Occidente, dominata dai suoi aspetti negativi. Spero di non sembrare patetico se affermo che c’è almeno una virtù «occidentale» che apprezzo: la capacità di autocritica.