lunedì 7 dicembre 2015

Repubblica 7.12.15
Renzi, la sinistra e la sindrome dell’ircocervo
di Massimo L. Salvadori


LA SITUAZIONE in Italia è caratterizzata da due fenomeni in contrasto: una ripresa economica che, pur entro certi limiti, fa intravedere un cielo più sereno e uno stato della politica in cui piogge cattive si alternano a trombe d’aria. Il governo ha portato a casa riforme a cui molto teneva e conta di portarne altre. Ma lo ha fatto e lo fa in un contesto di controversie senza fine, dovendo fronteggiare il fuoco incrociato dei Brunetta, dei Salvini, dei Grillo, dei Fassina, ecc., tutti uniti nel detestare Renzi antropologicamente prima ancora che politicamente.
Il gruppo dirigente renziano e il governo hanno a loro favore il fatto che le molteplici componenti degli schieramenti avversari tanto a destra quanto a sinistra sono travagliate dalle rivalità dei leader e dei gruppi e dal collidere delle loro strategie. Ma essi hanno seri motivi di allarme causato dalle condizioni in cui versa il Pd come partito. E deve poi molto allarmare che le debolezze di questo si sommino a quelle della destra di Berlusconi e Salvini nel dar vento al Movimento 5stelle.
Il Pd ha di che preoccuparsi per come vanno le cose in casa sua. A monte vi è il problema dei modi in cui recluta non pochi suoi esponenti di spicco (a Roma, in Campania, in Liguria, in Sicilia, in Sardegna, ecc.), che, una volta chiamati a competere per posizioni di responsabilità o elevati ad esse, risultano inidonei, in un contesto che vede l’esplodere dei personalismi di nuovi e vecchi notabili e la contrapposizione di corti clientelari. Il che pone il problema di quanto siano adeguati i canali di reclutamento del personale politico, l’organizzazione nel territorio, gli strumenti di controllo, insomma la struttura del partito. Favorito dallo slancio iniziale impresso dalla vittoria nello scontro per la leadership, Renzi si è addossato il doppio ruolo di presidente del Consiglio e di segretario del Pd. Lo ha esercitato con efficacia dopo avere prevalso nel partito issando la bandiera di una “sinistra liberata” dalle vecchie pastoie, avere ottenuto il magico successo del 40% alle elezioni europee e avere avviato con determinazione il suo programma di riforme; e quando pareva che le primarie fornissero lo strumento finalmente trovato per legare il consenso esterno a quello interno, selezionare i candidati alle cariche pubbliche, offrire al paese un personale politico in grado di mantenere la promessa di gettare alle spalle clientelismo e affarismo.
Ebbene, neppure il più benevolo partigiano del Pd non può non ammettere che l’immagine del partito nuovo è assai appannata: il partito non trae il vantaggio che dovrebbe dal miglioramento della situazione economica, soffre di una non risolta crisi di identità, le primarie hanno mostrato fenomeni di inquinamento e perso lo smalto iniziale, della minoranza interna alcuni se ne sono andati trasformandosi in nemici (obbedendo, ancora una volta, alla logica mai smentita delle scissioni a sinistra).
Renzi ora afferma di volere mettere mano a una energica cura. Ma quale la cura? Il Pd si presenta attualmente come un ircocervo: per un verso è il residuo via via più evanescente di quel tipo di struttura che affondava le radici nel Pci, per l’altro si avvia ad essere un partito leggero, liquido, che si mobilita soprattutto in occasione delle tornate elettorali intorno a comitati temporanei, animati da molteplici interessi locali e dai gruppi che se ne fanno portatori e tutori. Nessuno può immaginare il ritorno ad un passato definitivamente sepolto. Ma non è pensabile che un partito che intenda rimanere di sinistra possa affidarsi alle mobili acque della “liquidità”. La quale vorrebbe dire rinunciare ad un’opera di educazione politica organizzata, partecipata e durevole nel tempo, all’elaborazione e alla trasmissione di una cultura che distingua un partito da un altro e ne motivi la ragione d’essere.
Se a ciò si rinuncia, si spiana la strada all’assemblaggio di forze e consensi volta per volta, magari sotto la copertura dell’equivoco e retorico paravento del cosiddetto Partito della Nazione (al quale non si capisce se si sia o no rinunciato).
È venuto il momento che il Pd chiarisca quale natura intende darsi: se liquido, non liquido, di mezza sinistra-centrista, di sinistra. Così sarà anche possibile porre fine alla sconfortante situazione che lo vede essere al contempo partito renziano e partito antirenziano e indurre ciascuno all’interno di esso e nel corpo elettorale a compiere le proprie scelte.
Mentre si è molto impegnato nella guida del governo, Renzi non ha mostrato di poterlo fare altrettanto nell’affrontare i problemi che travagliano il partito di cui è segretario. Vi è da domandarsi se, dopo la prima fase del renzismo, il doppio incarico non debba essere superato. Quale che sia la decisione in proposito, è l’ora che la leadership prenda in mano il Pd in una situazione che si è fatta critica e dia una risposta a chi si domanda se esso intenda o non intenda restare un partito di sinistra. Sembra che cercare di definire che cosa significhi sinistra in una società in continuo cambiamento equivalga a entrare nel mondo delle nuvole di Aristofane. Non è così. La sinistra è sempre e soltanto la forza che lotta contro le tre grandi diseguaglianze: di potere, di sapere e di reddito.