lunedì 7 dicembre 2015

Repubblica 7.12.15
Dal Gran Sasso alla materia oscura
Il suo mistero appassiona gli scienziati da quasi un secolo. Una massa che c’è ma non si vede, per spiegare il moto delle galassie. Ma anche di che cosa è fatto l’Universo
Ora, dalle profondità dei laboratori abruzzesi, si prova a “catturarla”. E l’Italia è ancora una volta in prima linea nella ricerca fisica Come è avvenuto per la scoperta della “particella di Dio”
di Silvia Bencivelli


Stare al di sotto di 1.400 metri di roccia permette di schermare altri segnali Le ipotesi fin dagli anni Trenta dopo l’osservazione della Chioma di Berenice

IL MISTERO cominciò con la Chioma di Berenice. Era il 1933: l’astronomo svizzero americano Fritz Zwicky la stava osservando nel cielo. E lei, che è una costellazione tra la Vergine e il Leone, si lasciava guardare. Solo che c’era una cosa che a Zwicky non tornava: le galassie là dentro correvano tutte insieme e velocemente. Troppo, per quello che diceva la teoria. Zwicky allora formulò un’ipotesi: ci deve essere una massa che tiene quelle galassie vicine tra loro ma che noi non vediamo. Solo che questa massa, secondo i calcoli, doveva essere quattrocento volte superiore a quella visibile. Un’enormità. Possibile che ci fosse un mistero così grande nell’Universo?
Possibile, e quel mistero c’è ancora: si chiama materia oscura. Oggi quattro esperimenti la cercano nell’Universo partendo dalle profondità della Terra: dall’interno del massiccio del Gran Sasso, una montagna che sotto 1.400 metri di altezza nasconde i laboratori sotterranei più grandi del mondo, i Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Infn, e una scommessa epocale per la scienza. Quei quattro esperimenti, infatti, sono alcuni dei corridori di una corsa che oggi, dopo settant’anni, potrebbe essere vicina al traguardo: la corsa a vedere che cosa tiene insieme la Chioma di Berenice. Cioè a osservare per primi la materia oscura.
Tra questi, nel gruppo di testa c’è Xenon 1T: un progetto internazionale che coinvolge 126 scienziati di 21 istituzioni di America, Europa e Asia e che investe 20 milioni di dollari. La sua leader si chiama Elena Aprile ed è una fisica italiana, professoressa alla Columbia University dal 1986: «Ho cominciato come studentessa di Carlo Rubbia nel 1977 - racconta con un forte accento americano - sono stata ad Harvard per il dottorato e poi sono venuta qui in America, dove sono rimasta. Ma sono contenta che oggi il mio esperimento sia al Gran Sasso: quello è il miglior laboratorio al mondo per la nostra ricerca».
Xenon 1T è oggi il rivelatore più sensibile di quelli al lavoro nei Laboratori del Gran Sasso, almeno a sentire chi ci sta lavorando. «Il nostro esperimento – spiega Gabriella Sartorelli, dell’Università di Bologna e della sezione Infn della stessa città, a capo dei ricercatori italiani – cerca le particelle di cui pensiamo che sia composta la materia oscura: le cosiddette Wimp (Weakly Interacting Massive Particle)».
Il rivelatore di Aprile e Sartorelli tenta di catturarle usando una “trappola” a base di xenon. Cioè: la Wimp dovrebbe interagire con lo xenon, che nel rivelatore è in forma sia liquida sia gassosa, e produrre due segnali luminosi che ci permettono di capire come e dove l’interazione è avvenuta.
Siccome però queste Wimp sono rare e deboli, c’è bisogno di una lunga serie di accorgimenti, come quello di usare un gas nobile (lo xenon, appunto) che si separa più facil- mente dalle impurità. O come quello di stare sotto i 1.400 metri di roccia, che scherma la pioggia incessante di altre particelle capaci di disturbare i rivelatori. E poi c’è la dimensione del rivelatore: 1T significa una tonnellata, di xenon s’intende.
«La probabilità di interazione tra Wimp e materia ordinaria è piccola, per cui c’è bisogno di rivelatori grandi – prosegue Sartorelli - Prima abbiamo avuto Xenon 10, poi Xenon 100 (chili), ma non abbiamo visto niente. Intanto gli americani hanno costruito Lux, che ha dentro 300 chili di xenon. E ancora niente. Adesso con una tonnellata speriamo di farcela, ma chissà. Intanto gli americani hanno in progetto un rivelatore da dieci tonnellate. Ma anche noi nei prossimi due anni vogliamo aumentare, e possiamo farlo facilmente».
La corsa alla rivelazione della materia oscura vede in pista anche DarkSide50, che sempre al Gran Sasso utilizza una trappola a base di un altro gas nobile, l’argon. Anche il suo leader è un italiano in America: Cristian Galbiati, professore di fisica a Princeton. Lui, ovviamente, scommette sul suo rivelatore: «I rivelatori a base di argon sono i più promettenti, perché sono gli unici privi del rumore di fondo della radioattività naturale». Infine, gli altri due esperimenti a caccia della materia oscura. Uno è Cresst, che cerca di osservare le interazioni tra le Wimp e i nuclei atomici di cristalli assorbitori: la responsabile del progetto è Federica Petricca, ricercatrice del Max Planck Institute for Physics di Monaco. L’altro è Dama/Libra, diretto da Rita Bernabei dell’università e della sezione Infn di Roma Tor Vergata: nel 1998 vide un segnale che fu interpretato come un’evidenza di materia oscura, e ha continuato a vederlo per quindici anni, ma non esistono altri esperimenti in grado di confermarlo.
Ma ci sono anche altri rivelatori europei, americani, canadesi, coreani, russi, giapponesi, cinesi, quelli al Cern di Ginevra (che però potrebbero rivelare solo segnali indiretti) e quelli nello spazio, come Ams, lo strumento per lo studio dei raggi cosmici che dal 2011 vola sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Cioè: se non si fosse capito «qui, la questione è di arrivare primi: nessuno gioca per partecipare », dice senza mezzi termini Elena Aprile. Ma poi precisa anche: «In realtà è una strana competizione: tutti ci auguriamo che anche gli altri si muovano bene, perché chiunque arrivi primo, poi, avrà bisogno di conferme».
Il mistero della Chioma di Berenice potrebbe dunque essere vicino alla soluzione. Dopo Zwicky, negli anni Ssettanta l’astronoma Vera Rubin aveva osservato che anche all’interno delle galassie le stelle si comportano come se nell’Universo ci fosse una massa invisibile ai nostri occhi.
Da allora altre evidenze hanno mostrato che questa materia oscura rappresenta circa l’85 per cento della materia dell’universo ed è completamente diversa da quella ordinaria: «Come si fa a resistere all’idea di cercarla?», sorride Elena Aprile.
In palio c’è almeno un Nobel («ma non si va a Stoccolma così in fretta!»). E in questa corsa, sostiene Aprile che è venuta qui dall’America apposta, i Laboratori del Gran Sasso sono in testa: «Non possiamo dire che cosa succederà: è possibile che la prima Wimp sia dietro l’angolo oppure che l’abbiamo appena mancata. Ma la mia scommessa è che la vedremo proprio lì, al Gran Sasso».