Repubblica 4.12.15
Sulla Consulta ultima chiamata per l’accordo tra il Pd e M5S
La vicenda dei tre giudici mostra al paese uno spettacolo di velleitarismo che favorisce solo i grillini anti-sistema
di Stefano Folli
COME è stato notato in modo autorevole, un Parlamento che si dimostra incapace di eleggere i giudici della Consulta dichiara il proprio fallimento ed è passibile di scioglimento, essendo venuto meno a una fondamentale funzione istituzionale. Questo almeno sulla carta: poi intervengono altre considerazioni di opportunità che sono ben presenti al presidente della Repubblica. Ma non c’è dubbio che oggi la situazione sia vicina al punto di non ritorno.
La vicenda dei tre giudici è stata fin qui condotta con molta approssimazione dalle forze di maggioranza, supportate da Forza Italia. Un misto di baldanzosa sicurezza e di sottovalutazione dei dati politici reali. Con il risultato che si è offerto al paese uno spettacolo di debolezza e di velleitarismo i cui unici beneficiari, in ultima analisi, sono i Cinque Stelle. Ossia quell’ambigua opposizione anti-sistema che si voleva tener fuori dalle intese parlamentari, ma che ha tutto da guadagnare se i partiti del “sistema” si rivelano incapaci di tener fede ai loro stessi patti.
Ora, dopo il ritiro di Pitruzzella e il rinvio al 14 dicembre della trentesima votazione, un dato è chiaro. Man mano che passa il tempo e il rebus non si risolve, diventa sempre più costoso coinvolgere il movimento “grillino” in un accordo generale. Era meglio invitarli al tavolo fin dall’inizio, come rappresentanti della terza componente del Parlamento, insieme al centrosinistra e al centrodestra. Del resto, esiste il precedente del novembre 2014, quando il Pd e il M5S elessero un giudice della Corte Costituzionale (Silvana Sciarra, Pd) e un membro del Consiglio Superiore della Magistratura (Alessio Zaccaria, Cinque Stelle).
IN quell’occasione Grillo elogiò l’operazione. Non parlò di “inciucio” bensì di accordo importante, grazie al quale il movimento passava “dalla rete alle istituzioni”. Adesso invece siamo fermi in una zona grigia in cui il M5S sembra regredire dalle istituzioni alla rete, facendo leva sul veto pretestuoso contro Augusto Barbera, un galantuomo e un eccellente costituzionalista. Ma questo accade perché a loro volta i “grillini” sono stati esclusi fin dall’inizio dalla logica dell’accordo, costruito, come si sa, sull’ipotesi di una vaga restaurazione del Nazareno. Calcolo sbagliato, perché a quanto pare non è più tempo di intese bilaterali Renzi-Berlusconi, con i centristi come terza gamba. O almeno questo schema non serve quando si devono affrontare delicati passaggi istituzionali, perfino più complessi di quel che fu in gennaio il percorso per eleggere Mattarella al Quirinale. E c’è da dubitare che l’ostinazione di andare avanti a oltranza conduca a un buon risultato.
È vero che i due presidenti delle Camere non hanno alternative se non insistere con le votazioni. Ma è la politica che dovrà sfruttare i dieci giorni di pausa per un bagno di realismo. Il punto è che coinvolgere oggi i Cinque Stelle è più difficile di ieri: si rischia di dover ballare al ritmo della loro musica. In fondo siamo già dentro la lunga campagna elettorale destinata a sfociare in primavera nel voto delle città. E l’immagine di un Parlamento aggrovigliato su se stesso, obbligato a rivolgersi al M5S per uscire dalla paralisi, è dannosa per le forze di governo quanto efficace per la propaganda “grillina”.
DI sicuro non si può pensare di riprendere il 14 dicembre con il rosario delle votazioni nulle. Vale l’osservazione di chi vede in una simile impotenza una ragione per sciogliere le Camere. Quindi non c’è che la via della trattativa con le forze reali rappresentate in Parlamento. Obiettivo del Pd sarà non subire un veto su Barbera nel momento in cui dovrà accettare il candidato dei Cinque Stelle. Altrettanto tenterà Forza Italia, che finora ha presentato Sisto. Ma è evidente che la partita politica è soprattutto fra Pd e M5S. Quasi a prefigurare lo scontro elettorale prossimo venturo.