Repubblica 31.12.15
I nodi che la guerra all’Is non scioglierà
di Renzo Guolo
COME sarà l’anno che verrà sul fronte del conflitto siro-iracheno? Potrebbe essere quello decisivo per sconfiggere lo Stato Islamico, come promette il premier iracheno Abadi, ma i contraccolpi che ne deriveranno non saranno indolori per le coalizioni che lo combattono.
Il nodo è, ancora una volta, quello dell’assetto istituzionale e politico, e degli stessi confini, di Siria e Iraq. È su questo terreno, più che sulla capacità militare dell’Is di resistere all’offensiva della “doppia coalizione” a guida russa e americana, che si gioca la partita. Che fare della Siria, paese per il quale non solo Mosca e Washington, ma anche Riad, Teheran e Ankara, hanno ipotesi diverse? Il diretto ingresso in scena russo, dopo che il Cremlino aveva a lungo delegato la difesa del regime di Damasco all’Iran a al suo alleato l’Hezbollah, ha mutato il quadro. Inducendo sia la riluttante America di Obama, sia gli stati sunniti dell’area, impegnati sia nel contrastare l’ascesa iraniana nella regione, sia nella sfida interna per il ruolo di potenza confessionale egemone, a imboccare decisamente la via della soluzione militare del conflitto. Esito cui ha contribuito anche il nuovo attentato di Parigi, che ha condotto la Francia e i suoi principali alleati europei a aumentare, o avviare, l’impegno armato contro l’Is.
Ma ancora una volta è la prospettiva del dopo a dividere. Anche all’interno delle due coalizioni. La scelta di Putin di intervenire massicciamente nel conflitto ha sottratto centralità a Teheran e fatto emergere le priorità strategiche del Cremlino, non sempre, o non più, coincidenti con quelle iraniane. A partire dalla successione di Assad. A determinate condizioni, la Russia pare disposta a una transizione che lo veda passare la mano, mentre l’Iran respinge una soluzione di governo senza Bashar, garante dell’asse sciita che si tende da Teheran alla Beirut del Partito di Dio passando, appunto, per Damasco. Il dissenso investe anche altri aspetti. La Russia punta a un ruolo decisivo nella regione e per svolgerlo deve poter parlare con tutti gli attori dell’area. Anche con i sunniti e Israele. Ma le rassicurazioni di Mosca a Netanyahu sul futuro del Golan e su quello di Hezbollah, hanno fatto storcere il naso agli iraniani e ai loro fidi alleati libanesi. Così come l’apertura a gruppi dell’opposizione sunnita siriana. Incassato il dividendo sul negoziato nucleare, al quale Mosca ha decisamente contribuito, Teheran potrebbe così ridimensionare, o quantomeno minacciare di farlo, il suo impegno militare. Marcando, in tal modo, non tanto un distacco dal Cremlino quanto una minore disponibilità a condividerne lo sforzo bellico. Lo stesso vale per Hezbollah, che ha già pagato un tributo molto alto in perdite e non pare disposto, solo in nome della solidarietà confessionale, a continuare a farlo senza contropartite politiche. Per Putin il disimpegno sciita sarebbe un problema, perché, come si è visto, la guerra aerea non è sufficiente per sconfiggere l’Is: servono truppe di terra, tanto più quando il conflitto mesopotamico assume, come dimostra la battaglia per le città, sempre più caratteri convenzionali. E quelle truppe non possono essere, solo, russe. Militarmente e finanziariamente, con la crisi ucraina ancora in corso e il Caucaso che potrebbe diventare il nuovo fronte dell’Is, la Russia rischierebbe una sovraesposizione strategica. Da qui la necessità che le operazioni di terra siano condivise. Ma se, a seguito di una minore considerazione dei loro “interessi nazionali” l’impegno di Teheran e della formazione guidata da Nasrallah si contraesse, i soldati di Putin potrebbero non essere sufficienti per la campagna mesopotamica.
Analogo problema si manifesta sull’altro versante della “doppia coalizione”, quello a guida americana e araba. La nascita di uno schieramento militare, guidato dai sauditi, deciso a contrastare non solo l’Is ma anche le forze ostili al sunnismo, leggasi Iran e suoi alleati, complica la strategia Usa. Il riesplodere della guerra per procura tra sauditi e iraniani, si rifletterebbe anche sui rapporti tra Mosca e Washington, decisivi per battere l’Is e stabilizzare la regione. Insomma, i nodi politici che hanno permesso all’Is di consolidarsi restano sul tappeto anche dopo la sua probabile sconfitta.