mercoledì 2 dicembre 2015

Repubblica 2.12.15
Un’altra volta il Parlamento tradisce le sue prerogative
Se le istituzioni affondano nella palude delle astuzie
I vertici del Pd hanno cercato di mettere in scena un mini-patto del Nazareno per non coinvolgere (sbagliando) i Cinque Stelle
di Stefano Folli


ANCORA una volta il Parlamento si è dimostrato incapace di esercitare una sua precisa prerogativa e di eleggere ben tre giudici della Corte Costituzionale. Ancora una volta la Consulta si trova a un passo dalla paralisi per responsabilità politica di chi non riesce a quadrare il cerchio scegliendo nomi adatti su cui sia possibile l’accordo dell’aula.
È una situazione al limite dello scandalo istituzionale. Sono mesi che si tenta di sbrogliare la matassa senza venire a capo del rebus. Troppi errori, troppa superficialità. E anche una grave sottovalutazione dei rapporti di forza reali. Se il sistema è ormai fondato su un triangolo di cui il movimento Cinque Stelle rappresenta uno dei due lati forti insieme al Pd, non si capisce perché il partito del presidente del Consiglio, sostenuto dai centristi, si ostina a cercare un’intesa solo con il lato più debole, il centrodestra berlusconiano. Accordo che peraltro non convince la Lega, socio forte del patto di destra nella sua ultima versione.
L’ultimo sbaglio conduce a Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust e candidato dell’area di centro che si è ritirato ieri sera dopo l’ultimo insuccesso. Pitruzzella risulta sotto inchiesta da parte della procura di Catania per corruzione in atti giudiziari. C’è da domandarsi con quale criterio sia stato proposto al Parlamento questo nome in presenza di una questione giudiziaria così delicata: era ignota a tutti? Oppure qualcuno ha agito in modo da occultarla? O ancora - ipotesi più probabile - il fatto era noto, ma lo si è creduto ininfluente?
Ovviamente è possibile e anzi auspicabile che Pitruzzella sia al più presto prosciolto. In fondo, ritirandosi egli ha dimostrato sensibilità. Ma questo non toglie nulla all’opacità di una vicenda che si ritorce contro chi ha concepito e mandato avanti una candidatura inopportuna. Chi lo ha fatto ha dimostrato scarso rispetto verso il Parlamento e verso la stessa Corte. Proprio perché viviamo un’epoca turbolenta, i reggitori della cosa pubblica sarebbero tenuti a rafforzare le istituzioni, non a immiserirle con piccoli giochi di palazzo. Tutti sanno che Pitruzzella alla Consulta avrebbe liberato la poltrona all’Antitrust, cioè una posizione rilevante nel mosaico del potere. Ed è altrettanto vero che il candidato era accreditato di un giudizio positivo sulla legge elettorale, l’Italicum, al pari degli altri due nomi tuttora in ballottaggio. Quell’Italicum su cui la Corte potrebbe essere chiamata presto o tardi a esprimersi, così come si pronunciò, cancellandola, sul precedente Porcellum.
SE QUALCUNO ha ragionato in termini di mera convenienza nel favorire per la Consulta una triade compatta, oggi dovrà riconoscere che l’astuzia non ha pagato. Al di là della qualità delle persone coinvolte, che spesso non meritano lo stillicidio delle votazioni nulle, ora i tempi si allungano e la politica si rivela per quello che è: incapace di costruire una vera intesa di sistema che chiuda le falle invece di aprirne sempre nuove.
Intesa di sistema vuol dire comprendere l’attuale complessità dell’Italia politica e agire di conseguenza. A ben vedere, per garantire la solidità delle istituzioni e la loro efficienza non basta il monocameralismo, ma occorre evitare, ad esempio, che il Parlamento rimanga impallato in una trentina di votazioni a vuoto per eleggere tre giudici, di cui uno andava depennato fin dall’inizio per evidenti ragioni. Si direbbe che i vertici del Pd abbiano creduto di mettere in scena un mini-patto del Nazareno per dividersi i tre posti in palio alla Corte (più la presidenza dell’Antitrust). Quando è chiaro che la resurrezione degli accordi Renzi-Berlusconi non è riproponibile oggi in termini meccanici. Vero è che l’anziano leader di Forza Italia sta coprendo il governo su una serie di questioni, compresa la campagna elettorale per i sindaci di Roma e Milano. Ma la Consulta imponeva un bagno di realismo e la considerazione che il movimento di Grillo, o forse ormai di Di Maio, andava e va coinvolto. Non lo si è fatto e se ne pagano le conseguenze.