lunedì 28 dicembre 2015

Repubblica 28.12.15
Istituti da liquidare, è caos in fumo 1 miliardo di bond e solo 200 milioni di attivo
I proventi della vendita delle “good bank” e della bad bank Rev andranno solo al Fondo risoluzione
La procedura del salvataggio delle quattro banche rischia di creare un conflitto tra vecchi e nuovi creditori a vantaggio di questi ultimi
di Andrea Greco


MILANO. C’è ancora grande confusione sotto il cielo dei 140 mila investitori scottati dai salvataggi delle banche Etruria, Marche, Ferrara, Chieti. Alla vigilia di Natale hanno appreso, da una nota delle “nuove” aziende risanate, che «in linea con la direttiva bail-in e con la norma italiana di recepimento», queste non attiveranno nuove azioni di responsabilità ai dirigenti che le hanno portate al dissesto, né «possono essere oggetto di azioni dei precedenti soci e obbligazionisti subordinati ».
Solo le “vecchie” banche dunque sarebbero perseguibili. Peccato che queste siano ormai quattro scheletri esangui che si avviano alla liquidazione coatta con attivi che nelle prime stime potrebbero non superare i 200 milioni, a fronte di potenziali richiedenti di minimo un miliardo, come somma tra i 788 milioni di bond subordinati azzerati e altri 275 milioni di subordinati non toccati dal blitz del governo perché di vecchio tipo, e non computabili nel patrimonio di tipo “bail in” previsto dalla normativa Ue che entra in vigore tra quattro giorni. I legali dei consumatori sanno che la strada è in salita, perché i paletti posti da Bruxelles sono più che rigidi, e tutta l’operazione è una giostra di conflitti di interessi tra i vecchi creditori (gli obbligazionisti) e i nuovi: le banche italiane, che hanno sborsato i 3,6 miliardi per l’intervento, e se li curano con grande attenzione.
«Il governo e gli istituti hanno congegnato un’operazione scientifica per togliere ai risparmiatori la possibilità di far valere i loro diritti - dice Massimo Cerniglia, legale di Federconsumatori -Hanno tolto tutta la polpa dal creditore e lasciano in liquidazione quattro scatole vuote». Federconsumatori, con Adusbef, non si darà presto per vinta: valuta profili di incostituzionalità e una violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo, perché la norma impedisce ai creditori di rivalersi.
Rivalersi, già, ma su cosa? Prima c’è il fondo previsto dal governo, fino a 100 milioni per rimborsare solo i casi di vendita scorretta dei subordinati (si stima possano essere massimo un quarto dei 350 milioni di bond in mano al pubblico). Guardando poi all’attivo rimasto alle “vecchie” banche, la sola certezza sono le riserve accantonate a fronte di quei titoli subordinati - ce ne sono per 275 milioni - lasciati nei passivi; ma sono fondi stimabili in meno del 10% delle relative emissioni. Poca cosa. Quanto ai vecchi azionisti, sono stati azzerati senza esplorare la possibilità di dar loro warrant di importo anche minimo con cui partecipare a eventuali riprese di valore future delle banche.
La torta di attivi da spartire sarebbe stata molto più ampia. Ma lo schema del governo ha previsto che tutti i proventi della cessione delle quattro “nuove” banche - sono già in pista gli advisor Oliver Wyman e Société Générale, che stanno iniziando a negoziare con diversi interessati - andranno al Fondo nazionale di risoluzione, costituito dalle banche operanti in Italia, che ha coperto le vecchie perdite (1,7 miliardi) e ricapitalizzato le nuove banche (1,8 miliardi) e la bad bank (140 milioni). Stessa musica per le sofferenze dei quattro istituti: un blocco da 8,5 miliardi di crediti svalutati accettando il taglio feroce imposto da Bruxelles (il 17% del nominale), allargando il rosso delle vecchie banche ma ponendo le premesse perché la bad bank unica “Rev” neocostituita le possa vendere con profitto. Ma a incassare sarà ancora il Fondo. Il Fondo è a sua volta creditore di Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi che hanno anticipato 3,99 miliardi, prestito a breve a tassi non resi noti e con 400 milioni di garanzie statali della Cdp. Tutto avviene in punta di direttiva Ue. Ma nei trattati comunitari c’è anche il principio per cui una regola non si applica in presenza di violazione di altre. «Ove provato che le vendite di alcuni subordinati fossero scorrette ai sensi del Tuf e della Mifid - segnala un giurista esperto - un giudice civile potrebbe rilevare il nesso di causalità efficiente tra le vecchie banche e le nuove, permettendo ai risparmiatori di rivalersi anche sulle ultime. La disciplina del burden sharing, che imputa ad azioni e bond il costo delle perdite, non si applica se i titoli sono stati venduti contra legem».